Torino, 2 Febbraio 2013 – Museo Regionale di Scienze Naturali
Ciò di cui parla la psicanalisi è il suggestivo titolo dell’incontro odierno, di questa lezione promossa da Lunipsi, ovvero quella che sta divenendo una Federazione di Associazioni Culturali, gran parte delle quali si dicono psicanalitiche perché i fondatori delle stesse hanno trovato la provocazione ad associarsi dopo l’esperienza di essersi cimentati in quella conversazione a due, battezzata da Sigmund Freud Psicoanalisi, che si svolgeva e si svolge spesso su un divano – lettino (che oggi trova forse il suo miglior modo di dirsi nella lingua francese, cioè chaise longue), con pagamento da parte di quello che viene chiamato analizzante rispetto a colui che viene chiamato analista.
Possiamo dire che chi si alterna oggi, e chi si alternerà a questo tavolo nelle prossime lezioni promosse da Lunipsi, parli a nome della psicanalisi? Parli e possa parlare solamente della psicanalisi? Parli di argomenti dei quali solo chi ha fatto l’esperienza della psicanalisi possa parlare?
Tutte legittime domande che possono scaturire dal titolo odierno.
Ma forse la domanda più radicale ed interessante è: “Com’è che chi ha fatto psicanalisi può autorizzarsi a parlare di tutto, senza preclusioni?”
O ancor meglio: “Perché ancora iniziative, associazioni, elaborazioni, racconti, perché questa incessante messa in gioco di ciascun termine, di ciascuna questione?”
Freud chiamava tutto ciò la Peste.
“Come non augurarsi di esserne appestati?”, verrebbe allora da dire.
Eppure quante difese, quante fughe rispetto a qualcosa che provoca al fare, all’intraprendere, all’interessarsi e a mettere in gioco le questioni, i termini, i concetti, gli argomenti, le rappresentazioni di se, del mondo e degli altri. Quante ritrosie in nome dello standard, del benessere, della morte bianca, della facilità, dell’incestuosa socializzazione.
Una provocazione che non è istigazione, qualcosa d’istintuale quindi, ma riguarda l’esigenza, e dunque l’agire.
Impossibile la provocazione senza l’esigenza. Non c’è la provocazione al fare ma è nel fare, nel lavoro, nella scrittura, che si sente l’esigenza che le cose siano interessanti perché giungono a compimento in quanto non finiscono, perché giungono ad essere esigue in quanto precise.
Solo così è possibile giungere alla cifra e alla poesia.
Lunipsi, ovvero Libera Universitas Psicanalitica, sente quest’esigenza e la chiama intellettuale, sente che senza questa esigenza è impossibile assaporare la libertà.
Quell’Universitas non ha a che fare con l’universale, con il verso unico, con lo studio e l’apprendimento della versione unica, ma intende fornire la possibilità che una lezione sia viatico di lettura, ovvero di dislettura, perché ciascun testo, ciascun intervento si possa solamente intendere, cioè occorra essere messo in tensione per poter continuare a scriversi.
La Psicanalisi non può parlare perché è innanzitutto clinica dell’Ascolto, per l’ospitalità rispetto alle invenzioni che procedono associando liberamente, per l’accoglienza rispetto al lapsus, all’estraneo, all’insensato, perché il ritorno sia sul versante dell’interesse, perché le cose divengano interessanti.
Accogliamo dunque Paul Cezanne e adoperiamo le parole come lui adoperava le macchie di colore: “Leggere la natura significa considerarla, al di sotto del velo dell’interpretazione, come macchie colorate che si susseguono secondo le leggi dell’armonia, senza funzione, ma comunicando un senso di profondità”
La natura è quindi da intendere come la verità che non attiene alla giusta interpretazione, ma alla lettura, che non è mai diretta come può essere un consiglio, un dettame, un comando, una istruzione, che non è la lettura di un manuale, ma qualcosa che attiene ad un susseguirsi, ad un combinarsi, al proseguire secondo una legge non codificabile, non da codice, ma procedendo dall’armonia, dall’aritmetica, dall’arithmos, dal ritmo, dal numero, dalla cifra.
E la prova di verità che Cezanne chiama “profondità”, è il tono: il tono di una conversazione, la tensione di un intervento, l’attenzione, la cura e la dedizione di un componimento.
Proprio ciò che tendenzialmente si prova a far accadere nella conversazione d’analisi.
Come dipingeva Cezanne? Componeva, tesseva un caso mai da clinica psichiatrica, ma un caso letterario. Componeva le macchie sulla tela e quando una di queste non trovava la giusta tonalità veniva lasciata in bianco, per poi chissà quando essere ripresa.
Cosa fa l’analista quando la conversazione non trova tono? Interrompe la seduta.
L’interpretazione dei sogni, il cavallo di battaglia di Sigmund Freud, una indagine sul sogno, come evento che mette fortemente in discussione la divisione compartimentale tra il sonno, e quindi il sogno, e la veglia.
Le interpretazioni dei sogni non sono la risoluzione del bravo soggetto rispetto all’enigma del sintomo, degli strampalati, ripetitivi e insopportabili accadimenti, ma occorre sognare per potersi trovare interpreti di una storia che trova, che inventa il proprio copione.
Senza sogno non sarebbe possibile inventare, non sarebbe possibile il miracolo, non sarebbero possibili l’arte e la scienza.
Senza sogno non sarebbe possibile inventare il proprio passato e quindi vigerebbe il baratro dei destinati, dei predestinati al senso delle cose che fanno segno.
Resta comunque da riprendere l’annotazione che l’articolazione essenziale, che anche qualsiasi romanziere di svolta ha portato, è sulla vita stessa: come mai?
Agostino si domandava perché fosse essenziale continuare a lodare ed invocare Dio (non tenendo conto che lui indagava assai enigmi della vita come appunto quello della Trinità, del tempo, della memoria, della legge) e si rispondeva dicendo che chi non giungeva a farlo rimaneva muto ciarliere.
Com’è che gli analisti si trovano incessantemente a ricontestualizzare, a riprendere, ad articolare, a raccontare soprattutto la propria analisi?
C’è una fase dell’analisi, che in quanto tale non può che essere interminabile, nella quale anche chi già riceve analizzanti continua nelle sue elaborazioni a contestualizzare la propria…come mai?
E’ come se dopo quella della propria famiglia, dei propri genitori, fosse passato a quella di una presunta nuova origine, perché dall’inizio dell’analisi qualcosa ha cominciato a cambiare.
E’ accaduto che la scrittura dell’esperienza abbia trovato l’innesco.
La scrittura dell’esperienza non si può innescare ma necessita dell’innesco.
La scrittura dell’esperienza non è l’esperienza isterica che vuole fare tutte le esperienze per poter poi scegliere, né l’esperienza di colui che saprebbe scegliere perché ha maturato un sapere.
L’esperienza è solamente in atto, solo e sempre debutto, trovata, novità ed invenzione, senza ricerca, senza analisi dell’esperienza. Non occorre demandare ad altri soggetti, più o meno sapienti, occorre trovare il modo di dimettersi dal ruolo di soggetti all’ombra d’ogni genere di passatismo, e lasciare che sia l’Altro, l’Inconscio a scrivere ed inventare il passato.
Solo così l’esperienza insoggettuale ed originaria si scrive; solo così, come dice Borges, è possibile scrivere per dimenticare e non scrivere per ricordare, e quindi alimentare il discorso godurioso e timorante che prevede soggetti soggiogati alla mortifera ombra del passato, impotenti rispetto al destino, ai genitori come causa, all’analista come causa, alla gabbia del linguaggio.
Il transfert: l’analista non è la causa ma si trova ad incarnare la parte del sembiante.
Cristo, il verbo che s’incarna. E per chi gli stava più vicino e continuava a non intendere perché preso nel discorso, nella visione, Cristo ha detto “E bene per voi che io me ne vada”.
Il sembiante, la sembianza, ovvero quando le questioni sono in atto, quando la vita è gerundio, facendo, parlando.
La scrittura dell’esperienza è provvida di tutte le risorse, compreso il vigore di uno scritto, di un intervento.
E questo lo si può registrare anche in qualcuno che non ha fatto psicanalisi.
Ad esempio il citato Agostino e Giambattista Vico, che nelle loro Opere consentono di accedere allo straordinario, nella loro giovinezza hanno sentito l’esigenza di formare delle Accademie dove riunirsi una volta alla settimana, per elaborare ed esporre ciascuno a proprio modo questioni che li avevano interessati durante la settimana.
E chi ha fatto psicanalisi si trova spesso nella stessa esigenza, e tenta di organizzare seminari, gruppi di studio, pubblici incontri come quello odierno, ovvero dispositivi rilancianti l’impresa intellettuale, perché l’esperienza originaria, l’esperienza inconscia, possa continuare a scriversi e rivolgersi all’avvenire.