Sui quotidiani capita d’imbattersi in notizie d’accadimenti che inducono immediata rilettura perché così assurde che sembrano estratti di romanzi fantastici, di sogni, di deliri. Le parole usate sono comprensibilissime, non compaiono termini aderenti una vulgata politica, scientifica, economica, non si rintracciano prese di posizione rispetto a teorie ed opinioni, e quindi nessun concetto da capire.
Contro la marea nera donazioni di capelli, il titolo dello stringato articolo che ha suscitato queste righe: “C’è stato nelle Filippine un disastro ecologico dovuto all’affondamento di una petroliera al largo delle isole Guimaras, così la guardia costiera ha richiesto materiale d’ogni tipo per assorbire la marea nera che ha invaso duecento chilometri di costa. Piume di pollo e capelli umani si sono rilevati maggiormente idonei, così che anche i detenuti di un carcere a sud di Manila hanno deciso di donare i loro capelli”.
Avete idea di quanto sia grande una petroliera? Riuscite, come in un nuovo episodio di Alien, ad immaginarvi migliaia di persone con teste rasate che raccolgono capelli in sacchi e li depongono sul lungomare?
Potranno mai coprire duecento chilometri di costa?
Non importa, la notizia è bella lo stesso, è straordinaria, fa sognare, propone una storia che solo sudamericani alla Marquez possono immaginare, una storia che non appartiene a nessuno, che non importa sia accaduta o meno.
C’è stato chi pur non essendo sudamericano ha lasciato testimonianza scritta di questo infinito in atto. In tutte le lingue in cui è stato tradotto Franz Kafka ha destabilizzato i lettori delle sue pagine. Scrittori di tutto il mondo citano Kafka come riferimento perché inclassificabile ed inaccostabile a generi.
E non sono solamente scrittori chi dice di essere stato scosso, addirittura senza accorgersene cambiato dopo aver letto Kafka.
In Kafka c’è qualcosa che cristallinamente riferisce del mito biblico di Babele e della Pentecoste.
Quindici giorni prima, nel periodo agostano di una riposata Torino, nello stesso dehors, nello stesso bar, quasi alla stessa ora, scorrevano tra le mani pagine di America, romanzo Kafkiano appunto. Edifici giganteschi e tempi lunghissimi per fare qualsiasi cosa sembrano sogni riguardanti l’intera nottata, che al risveglio si traducono in un racconto di pochi minuti.
La bellezza dei romanzi Kafkiani sta proprio nel leggerli ed avere l’impressione di aver sognato mentre si procedeva nella lettura. Rispetto ad un sogno che interroga ed inquieta, offrono la chance di approcciarsi ad essi con inappartenenza e di poterne apprezzare l’assurdità. Ecco l’apertura, ecco la testimonianza. Non vi può essere testimonianza dell’apertura, la testimonianza e l’apertura sono in atto. Se vi è apertura, infinito, irrappresentabilità delle cose in atto, vi è testimonianza in atto, ecco la vita che scorre, si è nel viaggio, nel gerundio.
Questo l’inconscio che Freud diceva essere né singolare né collettivo ma bensì a disposizione di ciascuno. L’infinito non prevede l’infinito meno uno.
I romanzi Kafkiani procedono sempre verso un compimento, necessitano di una lettura e di una restituzione da parte del lettore come contrappunto.
Romanzi in cui l’oggetto non è rappresentabile, l’Altro è accolto ed il lettore ben difficilmente appagato, piuttosto disagiato, interrogato, spinto all’articolazione della domanda che si apre. Romanzi intellettualmente statutari che consentono a ciascuno di divenire statuto intellettuale, che consentono alla scrittura e alla lettura di trovare la relazione impossibile, di rivelarsi come ossimoro. Romanzi in cui vi è l’interlocutore che non è lo scrittore né il lettore, non è l’analista né l’analizzante.
Il transfert, la conversazione non comune, che non si sostiene sul luogo comune ed ha come condizione il sembiante.
Nessun nome del nome, solamente nominazione, nome in azione nella rimozione. Nei suoi romanzi Kafka sembra intenda dire del padre, della madre e di tutte le questioni possibili. Il racconto ha continui capovolgimenti e sorprese, è estemporaneo, comunemente illogico, consente a ciascuno di articolare le questioni che sembrano improvvisamente incontrarsi. Anche la vicenda dei differenti traduttori ed editori di America, per i quali non era facile trovare un ordine ai capitoli, ricorda la questione della condensazione e dello spostamento nel sogno, che non consentono un ordine cronologico, una logica definitiva e sicura.
Molti film che rimangono negli anni (ad esempio Pulp Fiction, che Michelangelo Antonioni considerava il film degli anni novanta) sono organizzati senza seguire l’ordine cronologico degli accadimenti. Ricordano il sogno, propongono una dimensione estetica dove le vicende perdono di sostanza e realtà divenendo fantastiche, divenendo eventi non eventuali ma accadimenti, dove la dimensione è poetica e quindi le cose, così come il verso del poeta, accade che giungano a scriversi. Freud considerava L’interpretazione dei Sogni lo scritto che avrebbe avuto maggior risonanza in futuro. Occorre sempre tornare al sogno come via regia dell’inconscio, come apertura all’articolazione, al dire, al raccontare, al teorizzare.
Le cose sono nella Parola, nella sembianza, indicibili e indefinibili universalmente una volta per tutte.
…Eventi …accadimenti …il giorno dopo, un’amica, di fronte all’impegnato e quasi disperato mio tentativo di dire delle questioni suscitate da quell’articolo cosa dice?:
“Certo! I capelli delle popolazioni di quelle zone geografiche crescono molto velocemente, per cui non hanno problemi a rasarsi a zero”
…completamente altrove… un’altra storia fantastica che si apre…
10 Giugno 2006