Cineforum “Fino alla fine del cinema” – Torino, Sala degli Infernotti dell’Ospedale S.Giovanni Vecchio – Anno 2008
L’idea di questa rassegna di Cineforum è nata dopo la visione di Fino alla fine del mondo.
Wim Wenders pensava a questo film dal 1977, sette anni dopo che l’avventura cinematografica iniziata come critico inaspettatamente lo vide cimentarsi dietro la cinepresa. Però, causa esigenze lavorative e non trovando Wenders ispirazione nella scrittura, il tutto si protrasse sino al 1989.
Wenders dice che i film che più si collegano sono quelli più prossimi e che lo precedono in ordine cronologico: Paris, Texas e Il cielo sopra Berlino.
Addirittura Il Cielo sopra Berlino è stato girato quando già c’erano delle bozze di Fino alla fine del mondo.
Fino alla fine del mondo rappresenta per il regista tedesco una svolta nella sua carriera cinematografica, perché ha l’impressione di essere riuscito a dire qualcosa che voleva dire da sempre.
Così ho pensato di inserire nella rassegna Paris, Texas – Il cielo sopra Berlino e Così lontano, così vicino, film successivo a Fino alla fine del mondo ed anche la prosecuzione de Il cielo sopra Berlino.
Così Wenders a proposito di Fino alla fine del mondo: “Scopo di questo film è quello di celebrare l’Apocalisse della nostra cultura visiva”.
Fino alla fine del cinema come titolo di questa rassegna perché è quello che occorre oggi precisare di fronte al dilagare di film che si sostengono sull’idea che un film sia da vedere, che debba essere spettacolare, che sia emotion invece che motion.
Sì motion, andare al cinema inteso come Kinema, cioè movimento.
I film di Wenders non si fanno vedere come film, ma propongono il movimento, il viaggio, il non essere, l’intervallo, l’infinito in atto, l’apertura intellettuale, e vanno continuamente fino alla fine del cinema comunemente oggi inteso.
L’apertura dei film di Wim Wenders ha manifestato la sua efficacia nel suggerirmi nuove elaborazioni teoriche, oltre che nello stimolarmi al fare e quindi ad organizzare questo cineforum, sulla scia della psicanalisi e quindi del racconto, del viaggio intellettuale come sola possibilità di relazione.
Fino alla fine del cinema per rendere omaggio a Carmelo Bene, che dopo la realizzazione del Lorenzaccio disse che era riuscito a distruggere il teatro, ad andare oltre il teatro.
Fino alla fine del cinema come a dire Fino alla fine della psicoanalisi, cioè quel dispositivo intellettuale, quel dispositivo di Parola viva, autentica, originaria, che per dirsi tale ad ogni conversazione deve andare oltre l’impalcatura che lo sostiene, cioè che l’analista sappia, che abbia la verità in tasca perché acquisita sul manuale, che l’inconscio sia da smascherare, che la conversazione sia a due con i ruoli analista – analizzante predefiniti.
Nessuna analisi dei fatti per trovare la soluzione, ma analisi come soluzione nella quale vengono dissolti i sintomi perché detti, perché raccontati, così che quello di cui si parla non sia più un problema, una malattia, con soggetto ed oggetto rappresentati. Trovando, incontrando l’oggetto nell’inaspettato, nello spropositato, nell’insituabile, emergerà l’originarietà della Parola a discapito dell’ontologicità e della rappresentazione.