Il potere, la potenza, la libertà

 

SEMINARIO DELL’I-AEP (INTER-ASSOCIATIF EUROPEEN DE PSYCHANALYSE) IN COLLABORAZIONE CON LUNIPSI – Torino, 16-17 Maggio 2015

 

Oggi, nello sport in genere, si evidenzia il fenomeno di privilegiare lo spettatore, e per far rimanere sempre viva l’attenzione la tendenza è quella di togliere le pause, di accorciare il più possibile i tempi d’attesa, come si assiste in un meeting di atletica leggera dove la gare si susseguono e quasi si accavallano, o come è accaduto nella pallavolo dove la Federazione Internazionale ha modificato il regolamento togliendo i cambi palla.

La velocità quindi si esplicita come intensità quantitativa, come tempo da riempire.

La questione riguarda lo spettatore e la sua rivendicazione di non voler aspettare, perché altrimenti la noia e l’emergere della mancanza di aspettative.

I giocatori troveranno sempre il modo di prendersi le pause, di concordare sulla tregua, andando avanti un punto a testa, dando l’idea che la battaglia sia solo sospesa.

Occorre immaginarsi differenti contesti di civiltà, ad esempio quella greca o quella Shakespeariana, dove le rappresentazioni teatrali erano l’evento per il borgo, il paese, la città, dove il pubblico era immerso nello spettacolo.

Oggi invece lo spettatore è continuamente a fruire di visione, di informazione, di spettacolo, ma soprattutto si istituzionalizza il ruolo del fruitore spettatore, altrimenti detto “soggetto”.

E’ a disagio questo agiato soggetto? Se lo è perché?

Il malessere della civiltà è il malessere di quest’orda imbonita e rimbambita di soggetti fruitori. Ognuno con il suo ruolo, ad esempio analista e analizzante, oppure psicologo-psicoterapeuta-medico e paziente-malato-soggetto disagiato da aiutare.

La questione dell’analisi va ricercata nel teatro, non sicuramente nella diversità, quasi fosse una variante delle razionali e chiacchierate cronache psicosociali di mutuo aiuto.

Il teatro e la forza, la conversazione e l’intensità.

La pausazione e l’intervallo necessari perché appunto l’intensità sia della conversazione, e non attenga all’intensificarsi delle fruizioni del cannibale soggetto spettatore.

Il teatro e la finzione originaria che l’analista incarni il sembiante. E’ la finzione, la sembianza ad essere originaria, non la realtà. Non c’è una realtà che starebbe sotto, che trasparirebbe sotto la sembianza. Il soggetto impotente ad andare oltre il muro del linguaggio reclama la trasparenza per voler rimanere spettatore e vedere la realtà attraverso il trasparente muro.

Era Freud a fare analisi alle isteriche o era il coinvolgimento nel teatro da loro proposto a provocarlo a proseguire negli scritti e nelle elaborazioni?

Il dispositivo dell’analisi come dispositivo di inedizione.

La proteiforme isteria oggi denuncia che le coppie che si attengono alla vita standanrd sono impotenti, non riescono ad avere figli, come dice Nietzsche nel finale dello Zarathustra non riescono a togliersi dall’eterno ritorno, dal girare a vuoto, e quindi non riescono a concepire perché non intendono il figlio come eredità di qualcosa che verrà, in direzione dell’inedito.

Però c’è anche un’indicazione all’artificiale, al rivolgersi alla fecondazione artificiale come inedita invenzione scientifica.

Nulla di naturale, la finzione, la sembianza, l’originarietà dell’analisi come appuntamenti perché la vita possa proseguire sul sentiero dell’inedito e dell’artificiale.

La democratica trasparenza per esorcizzare la sembianza e rappresentare l’Altro invece che ospitarlo ed accoglierlo.

Il percorso della fede è il percorso dell’aspettativa, del procedere dalla Sembianza all’Altro, dalla Profezia alla Provvidenza.

Lo scongiuro e l’impotenza rispetto al passato che non è mai stato

“Nella mia vita non ho fatto altro che seguire le apparenze…la mia vita è stata basata sull’apparenza…non ho mai amato mio marito perché il matrimonio e la famiglia con lui si sostenevano sull’apparenza”.

Altrimenti detto perseguire la vita standard.

Qui, in un ambito di ricca borghesia prossima alla nobiltà, lo standard come salvaguardia dello status symbol, dello status quo, una sorta di guerra fredda ove mantenere una posizione sociale, una ricchezza per cui contraddistinguersi rispetto al popolino, una ricchezza come prestigioso scudo dorato che attrae il popolino ma nello stesso tempo corazza e difesa dall’avventizio popolino.

Lo status symbol, lo status quo, anche e soprattutto assoluto scongiuro rispetto all’eventualità di uno spostamento delle posizioni, come totem rispetto al tabù dello status quo antes, rispetto al quale ci si sente impotenti.

Lo Status quo antes è questione prettamente giuridica, ed è interessante che la donna esternante queste vicende sia avvocato.

Qui l’uso del significante “apparenza” sembrerebbe lasciar intendere che ci sarebbe una vita vera, autentica, alla quale si è rinunciato o alla quale non si riesce ad accedere.

Se non si riesce ad accedere allora avrebbe a che fare con lo status quo antes? Con qualcosa che dice del ripristino e del ritorno?

Come intendere l’eterno ritorno? Perché perseguire e preservare lo status symbol, lo status quo, potrebbe anche leggersi come forma di protesta rispetto all’eterno ritorno, ai corsi e ricorsi storici, al materno sapere già.

Imbecillità odierne quelle che sloganeggiano la vita autentica quella che si fonda sull’essere se stessi.

L’eterno ha a che fare con l’istante ma non con il ritorno, con l’istanza come sollecitazione alla domanda, alla domanda di cifra, alla domanda di inedito, per cui il passato procede dal futuro, si scrive e si inventa senza essere mai stato.

Le cose inedite non sono mai originali rispetto a qualcosa che non lo sarebbe. Le cose inedite sono sempre seconde, dicono del gerundio, di qualcosa in atto, di una Parola Originaria che richiama il Vangelo di Giovanni “In principio era il verbo, in principio era l’azione”.

L’inedito, l’apertura assoluta, qualcosa che non è mai stato scritto, ma soprattutto che non è ancora stato scritto, che sarà sempre e ancora da scriversi.

La vita autentica è il compito di ciascuno.

Una vita è autentica se in essa vi sono tracce di inedito, se consente al patrimonio intellettuale di continuare a scriversi.

L’amore autentico è sempre ereditario, dare quello che non si ha a qualcuno che non lo vuole, che non lo intende, ma che a suo modo contribuirà affinché la scrittura dell’inedito, la scrittura dell’esperienza possa proseguire a scriversi.

Il patrimonio intellettuale si salvaguarda solamente se prosegue a scriversi. E’ la questione cattolica, è la questione apostolica. Altrimenti la salvaguardia dello status symbol.

Non si può partire dai classici come esempio, come standard, sarebbe come partire dalla facilità, sarebbe essere semplicistici.

Occorre non fare tragedie e malattie delle difficoltà, occorre articolarle narrarle ed elaborarle come chance, occorre procedere secondo l’occorrenza per giungere ai classici e all’eternità.

I classici esigono più che la lettura l’ascolto, la relazione. Non si può leggere un classico, un’opera d’arte, occorre ascoltarla, occorre relazionarsi con essa perché possa continuare a scriversi. Altrimenti la classe, il classismo, lo status symbol e lo status quo.

Non si può procedere dalla facilità, occorre procedere dalla difficoltà per giungere alla semplicità.

Le cose non esistono in quanto tali, altrimenti l’apparenza come copia, come immagine, come visione della cosa.

Le cose possono solamente apparire comparire e quindi scomparire. C’è lo dice anche l’indagine sull’atomo, sull’elettrone, un momento è onda un momento è particella.

Le cose si possono incontrare ma non si possono prendere. E’ come la lepre di Zenone, che supera la tartaruga senza mai raggiungerla.

La visione è sempre allucinazione, è sempre caleidoscopica.

L’immagine non è la visione della cosa, l’immagine è sonora, è il caleidoscopio innescato dalla funzione di voce, dalla funzione di astrazione.

Con i punti di vista, con le opinioni, non si può che litigare o incestuosamente darsi ragione.
La giustizia non è del nome né del significante, non è della sintassi, né della frase. La giustizia della combinazione è per l’apporto, per l’integrazione dell’Altro. La questione della Pentecoste.

Il punto di vista va inteso come punto di fuga, come sguardo, come punto di sottrazione rispetto alla visione.

Straordinario Lacan quando racconta del pescatore sulla battigia che gli indica una scatoletta galleggiante luccicante sul mare: “Vedi quella scatoletta, ci sta guardando”.

Soffrire lo sguardo dice di essere presi dalla visione di come starebbero le cose.

Il Super Io e la mania di perfezione

La potenza e l’Io potente, il Super Io.

Super Io, termine coniato da Freud conseguente e comunque legato all’Es [pronome neutro tedesco reperibile nel medico psicanalista tedesco Groddeck, che l’aveva preso da Nietzsche per dire della sostanza impersonale della vita, esemplificabile in “Qualcosa ha sognato me” rispetto ad “Io ho sognato”].

L’Es, il demonio inconscio dei desideri immorali, per cui Freud immagina che l’Io per difendersi da esso ricorra alla morale anche quando non è educato o rimproverato.

Si evidenzia subito che perseverare sulla scia del Super Io possa portare a puntare alla perfezione come elusione dello sbaglio, dell’errore, verso il manuale del buon comportamento, verso la maniacalità dell’ordine e della pulizia.

La perfezione attiene al facere, al fare che si compie in quanto finisce. Il fare del soggetto che compitamente fa bene il proprio compito, che segue alla perfezione il modello guida, il modello educativo comportamentale. Il soggetto come Io ontologico che pensa, che cogita ed escogita, che trama ed investiga, che immagina come non essere smascherato.

Perché così tanta paura di commettere un errore, così tanta sofferenza rispetto all’essere deriso o rimproverato?

Io so che tu sai che io non so, cifratura Verdiglioniana del discorso ossessivo, rispetto a quello isterico Io non so che tu sai che io so.

Non so inventare, non riesco ad accedere alla volontà di potenza creatrice Nietzschiana, so al limite appunto escogitare, so seguire un modello, so pormi e perseguire obiettivi obiettivamente e coscientemente perseguibili, faccio obiezioni.

Tanti romanzieri, compreso Dostoevskij, malgrado i capolavori portati a compimento, lamentano l’impossibilità ad inventare in quanto non riescono a scrivere poesie.

Gli obiettivi in ottica si usano per vederci bene, per vederci lungo, per vedere in lontananza, per padroneggiare il vedere. Ma l’Objecto non si lascia prendere e padroneggiare, non è obiettivo e razionale secondo logiche algebriche e geometriche, deduttive ed induttive.

“Io so” ha a che fare con il vedere, e si rafforza con il Super Io per esorcizzare “Io non so”, ovvero lo sguardo come impossibilità della visione delle cose, della padronanza sulle cose. Non possiamo vedere le cose, ma dalle cose siamo guardati.

Quell’estenuante tentativo di parlare al padre, descritto mirabilmente da Italo Svevo ne La Coscienza di Zeno, è per colmare la sudditanza del “Tu sai”, per poter continuare a parlare ed avere l’impressione di parlare alla pari. Di fronte a questa conversazione erotica ecco l’atteggiamento masochistico che diventa oggetto erotico pur di continuare a stare con il padre. Il sadico invece per continuare a parlare con il padre lo vuole stupire, vuole fornirgli la prova di iniziazione e quindi erotizza l’altro.

Come essere poeti dunque? Come essere nell’invenzione? Come essere in atto? Come accedere all’imperfetto? Come cibarsi dell’imperfetto come eternità? Come fare?
Facendo, dal gerundio all’imperfetto. E anche al passato remoto, che attiene al movimento, al momento, all’istante, che non si coniuga con l’essere o l’avere.

Nietzsche: “Io fui ciò che volli”. Freud: “La dove l’Es era Io devo avvenire”.

Per ospitare l’Altro, questo incessante inconscio, occorre saperci fare con il sembiante.

Nessuna possibilità di puntare soggettivamente all’Altro.

Stupidità voler fare i poeti, gli artisti.

Non si può raccontare, al racconto occorre giungere.

Nessun Io sarà mai così Super da poter escludere l’Altro.

In ambito medico educativo, in modalità allopatica o omeopatica, in modalità fisiologica o antropologica, quando le cose non funzionano allora la risposta “Vuol dire che qui c’è un problema psicologico”.

Certo molto comodo, quando le cose funzionerebbero è perché si è trovato il metodo giusto, altrimenti il problema è psicologico.

Lo psicologico sarebbe destinato quindi ad essere un problema, in primis di difficile soluzione, subito dopo grave.

Quando dunque le cose funzionano?

La psicanalisi, la provocazione, il rilancio intellettuale, non sono per sedare il sintomo, per la morte bianca. Anzi molta

attenzione quando le cose sembrano andare magnificamente bene.

L’apertura procede dall’ombra, non dalla chiarezza, dalla facilità. La semplicità procede dalla complessità.

E’ così la fortezza, la stoffa di un tessuto o di una persona, procede dal plexus, dall’intreccio, dal texere.

Non è possibile dipanare l’intreccio, non c’è l’oggetto originario, l’uno originario da cui deriverebbe l’intreccio. Il labirinto, trama e ordito, è essenziale al viaggio. Non si può uscire dal labirinto, dalla complessità. Attraversando il labirinto e le complessità, non rinunciando a relazionarsi con il sembiante come punto vuoto, insituabile ed imprendibile, ecco la fortezza, ecco il sexus, la sessualità, la differenza, il due che non ha bisogno di erotizzare l’oggetto.

L’apertura procede dal raccontare l’oscuro ed incomprensibile sogno. L’apertura è trovare infinite storie che s’intrecciano e continueranno ad intrecciarsi senza il rischio di perfette combinazioni.

Pensare, come il primo Freud, che la produzione onirica sia spinta da un desiderio inconscio in quanto immorale, camuffato dalla censura, indica ancora un’ottica metafisico educativa, sulla strada della psicoterapia soggettiva.

Chi dunque il tessitore del sogno, l’oniro del sogno? Domanda mal posta, derivante da un intendimento post illuministico nel quale siamo immersi, siamo illuminati.

Il sogno ed il sonno dimorano nell’ombra.

La vitalità, più che la vita, procede dall’ombra.

L’Io padrone o non padrone è conseguenza dell’Io illuminato.

Nella vita le cose procedono dall’ombra e giungono alla cifra, alla poesia, alla fosforescenza, s’illuminano senza illuminare, senza trasmissione, senza comunicazione sociale, senza contagio, fluiscono senza influenzare, da qui l’immunità.

Io – Tu – Lui / Specchio – Sguardo – Voce / Io sono sempre un altro – Non è possibile vedere le cose, tu sei guardato – La voce viene da un astratto altrove.

Non è possibile la comunicazione, la trasmissione, la divulgazione, ovvero la simultaneità non è la sincronia rispetto alla diacronia, ma è simultaneità tra destinatario e destinatore. L’assunto della fisica quantistica “L’osservatore modifica il fenomeno osservato”, dice che non si può non essere implicati nella Complessità Originaria, ne va della Sessualità.

Non è possibile leggere le cose, occorre l’ascolto perché le cose possano continuare a scriversi.

Un autore non si può leggere, non si può intervistare, non si può imitare, occorre ciascuna volta incontrarlo.

Non è possibile parlare, quando qualcosa si dice, quando qualcosa si scrive è perché siamo parlati.

Non si può fare un libro sui libri, un sunto scolastico sugli autori, sui filosofi, è come istituire una sovrastruttura, quando un testo non può che proseguire a strutturarsi.

Lo Zarathustra scuote, provoca, non lascia indifferenti, è potente, è forte, è avvincente.

Quindi la potenza da indagare con la vittoria, come occasione per andare oltre la potenza legata ad un soggetto su un oggetto, altrimenti detto l’Io padrone a casa sua ed in quella degli altri, o la potenza sado-masochistica legata al godimento.

Senza sessualità, senza la sua forza, ecco l’insorgere dell’impotenza di soggetti sempre ad inseguire o a subire il potere.

Il potenziale, l’energia potenziale, le potenzialità non sono talenti soggettivi esplicitati da Carmelo Bene differenziando il talento dal genio, cioè chi fa ciò che vuole e chi ciò che può.

“L’inconscio a disposizione di tutti” espresso da Freud, non è l’energia sulla carta, ma è l’energia, la pulsione che scaturisce trovando, incontrando, inventando il proprio passato, è qualcosa che ha a che fare con l’eternità.

La libertà di potenza creatrice

In fisica o meccanica classica vi sono le seguenti formulazioni:

L = F x S

ovvero il lavoro (L) si ottiene moltiplicando la forza peso (F) per lo spostamento (S), cioè il lavoro è la forza necessaria per spostare una massa per una determinata lunghezza

P = L / T

ovvero la potenza (P) si ottiene considerando il lavoro (L) nell’unità di tempo (T), e quindi anche

P = F x S / T

La potenza e il lavoro sono concetti che vengono introdotti dalle misurazioni spazio temporali, perché è impensabile misurare una distanza spaziale se non legandola al tempo impiegato per percorrerla.

Oggi il potere sembra essere divenuto cosa molto importante, tanto da sostituire in politica il prestigio, e da essere attribuito alle lobby, alle caste, alla banche, alle multinazionali, lasciando intendere appunto dalla meccanica classica qualcosa che ha un grande peso o una grande velocità di futurista memoria.

Ma come può il potere inficiare ed inibire la libertà, la volontà di potenza del piccolo, del popolo?

La volontà di potenza Nietzschiana era volontà di potenza creatrice, legata all’inedito dunque, e non ad un’ottica di competitività immediatamente sorgente con l’introduzione spazio temporale, facendo un’economia del tempo per essere sempre più veloci, sempre più potenti.

La libertà non si ottiene liberandosi da qualcosa che schiaccerebbe, ma è condizione ove l’energia per procedere continua ad essere potenziale senza divenire cinetica.

Ecco quindi la potenzialità legata al fantastico, al favoloso, al potere magico dei bambini, al gioco di prestigio, senza la quale non si potrebbe parlare di profezia e di provvidenza.
Qualcosa capita che si compia e si scriva in maniera singolare ed inedita, senza bisogno che precipiti con il tempo tendente a zero in maniera vorticosa fino allo schianto.

“Solo chi è libero fa ciò che gli piace”, ovvero senza la libertà del veleggiare con il sostegno dall’energia potenziale non è possibile accedere al piacere, al piacere di fare le cose, alla soddisfazione delle cose che si compiono. Altrimenti ecco che tutto deve essere non impegnativo, facile, veloce, divertente, fruibile, così da occupare il tempo libero, a discapito del lavoro, della difficoltà, della complicazione di approcciare gli ostacoli e le problematiche come questioni sempre e ancora da articolare, scommettendo che l’itinerario possa proseguire ad essere narrativo.

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