Il prestigio, il prestigioso, attengono al praesto agere, ad un fare pronto.
Anche le cose belle e prestigiose attengono ad un fare dove non ci sono pensamenti, si fa, si dice, si narra, si scommette su ciò che occorre fare. Quindi l’abduzione e l’ospitalità verso il prestigio come qualcosa di inatteso, di provvidenziale.
Questo fare generoso non come altruistico fare, rappresentando l’altro bisognoso, da aiutare, così da evitare l’interlocuzione, ma prestarsi al gerundio, senza presentificazioni di se, degli altri, del mondo, della realtà, del tempo, lasciando fare alla provvidenza del fare secondo un tempo altro, sempre assai provvido, che consente di incontrare traccia di verità, ovvero che le cose si stiano scrivendo, si stiano facendo oltre il volenteroso soggetto.
L’introduzione dell’ascolto e quindi l’estetica a spazzar via l’anestetico e sloganistico “yes we want, yes we can”, suggello di un soggetto padrone della situazione, presente a se stesso, anestetizzato rispetto al sintomo, alla risorsa.
Un soggetto che dice di perseguire sogni come fossero obiettivi quando il sogno non è mai obiettivo.
Lasciar fare al tempo del lapsus e dello sproposito, per accogliere virtù dell’Altro, l’ingenuità ed il riso.
La mano intellettuale di questo favoloso prestigiatore, tanto prestigiosa e tanto irriverente, tanto rigorosa e tanto folle.
11 Aprile 2012