In merito alla psicosi come evento di massa occorre indagare il discorso frastico, cioè qualcosa che ha a che fare con il punto di fuga, con lo sguardo.
Con il procedere metonimico quindi, con qualcosa che balugina ma è sempre in fuga, con il parlante proteso verso di esso ad allucinare visivamente, a giocare con il caleidoscopio originario. E quindi il vedere non come passività soggettiva rispetto ad una realtà già data, ma anch’esso attività incessante di scrittura della cose.
Quando si cade nella rappresentazione questo punto istituisce il soggetto come soggetto allo sguardo, allo sguardo timorante a cui non è possibile scappare. Il morale occhio di Dio, non più “L’Io non padrone a casa propria”, ma “L’Io avrà sempre a che fare con un D-io più forte di lui”.
Fin qui al limite il discorso si tinge di ossessività, si sta seduti o si assedia.
Nei fenomeni di massa invece, la rappresentazione diventa impersonificazione di questo Dio, ad esempio Hitler, e la questione del punto di fuga, del punto di sottrazione, ritorna nel gregge inebetito che “segue” questa maschera senza più eco, che non delira più allucinando ma che segue un delirio che non esce dal solco, non attingendo più alle risorse astrattive della voce perché la voce, identificata come il là di un diapason, continua ad incidere su quel solco, sulla linea che si espande come nel Risiko, a tracciare più larghi confini territoriali di padronanza.
3 Giugno 2012