LA FINESTRA – Milo De Angelis
Nella camera
d’albergo, dietro le tende
che fanno vedere per la prima volta
una piazza tenera
“vorrei soltanto ripetere, capisci,
nient’altro”
questo pomeriggio
è impersonale, non si rivolge a qualcuno
non lo sceglie, è già una terra
piena di ospiti, che compiono
in un altro
la sua opera incominciata
come quel ponte rimane là
è calmo, non è più
ciò che unisce due rive
Nulla di certo, ma del ricordo in qualche modo abbiano idea, possiamo litigare, possiamo concordare, possiamo anche sorprenderci di quanto fosse errato, di quanto fosse fantasioso…il ricordo procede dall’idea di se, dell’altro, del mondo, del tempo che finisce…è legato alla cronaca dei fatti, al nome come etichetta della cosa.
Poi c’è la memoria memoriale, l’imparare a memoria, una poesia ad esempio, legata al rito, alla ripetizione, all’esercizio della voce (molto più difficile imparare a memoria senza vocalizzare), oppure la recita, la preghiera.
Della memoria immemoriale non vi è idea, è legata all’atto, è l’idea che nessuno ha..di che cosa? Non è possibile dirsi perché non è legata alla cosa come ente ontologico, è l’idea operativa.
L’operazione può essere solamente mnemonica, perché il passato che non è mai stato si scriva in direzione del futuro. Se la memoria si scrive non vi è traccia del presente, non vi è traccia di ente, non riguarda presentificazioni illuminate di se stessi, sancisce l’impossibilità di essere presenti a se stessi.
Però talvolta l’evento, e quindi qualcosa s’intende senza possibilità di comprensione…si vive ma per intenderlo occorre giunga a cifra, che si giunga alla poesia…lì l’eternità dell’istante che può durare anche un pomeriggio….anche qui in prossimità del crepuscolo ove il ponte è giuntura e separazione, non sancisce un passaggio perché il tempo non passa e non scorre, né una unione, un fare uno, un tornare all’uno mortifero.
Tra le tende la prima volta e quindi il voler ripetere…solo se si giunge a cifra, alla poesia, le cose si scrivono e restano…e quindi l’ospite, il noi, il ciascuno di noi, come indice di impersonalità che non si rivolge ad ognuno.
La prima volta non può che chiederne una seconda, tra rinunce e procrastinazioni.
Solo la seconda volta è originarla, solo la seconda volta consente lo squarcio dell’infinito in atto. La prima volta dice della paura rispetto alla breccia, dice della breccia che non giunge allo squarcio.