Torino, 8 Ottobre 2011 – Libreria Legolibri
Dostoevskij, nel capitolo Marzo (Isolamento) di Diario di uno scrittore, ritorna a tentare di dire di qualcosa che possa qualificare l’umano associazionismo (in qualche modo quindi riguardante anche la famiglia e la scuola), senza ricadere nell’isolamento di un’associazione che necessita della altre come nemiche, rivali, competitrici e quindi isolata rispetto ad esse.
Isolamento che si appaia a quello individuale di chi vuole fare piazza pulita della storia, intendendola come richiamo ad ogni sorta di appartenenza e similarità, tabula rasa dei classici in nome dell’essere innovatori, avanguardisti ad esempio letterari.
Ma la qualificazione esige l’essere presi in una scrittura narrativa, dove alla classicità si giunge, invece che qualcosa da cui partire come punto di riferimento. E in questo viaggio verso la classicità vi è rilascio stilistico, quindi qualcosa di singolare, di differente, invece che nuovo nell’accezione di originale.
In questo viaggio epistolare, apostolico, si giunge anche alla setta, alla classe, che non è qualcosa di chiuso, ma qualcosa di giunto e simultaneamente separato, stilizzato.
La setta, la classe, è come la città, cioè sempre in formazione.
L’analista sempre in formazione è qualcosa di assolutamente pragmatico.
L’invenzione Freudiana della psicoanalisi non è come le mura di Carandini, la cui scoperta farebbe sì che Romolo venga tolto dal mito per diventare elemento cronistorico.
L’invenzione Freudiana della psicoanalisi non è quindi la scoperta dell’inconscio come qualcosa che toglierebbe dal mito il lapsus ed il sintomo nevrotico, così da giungere al trauma originario. La psicoanalisi è un dispositivo per il quale l’elaborazione intorno al lapsus e al sintomo, a questi mitici e imprendibili elementi, è fondamentale perché la formazione della città e della setta siano imprese di Parola, siano imprese narrative.
Armando Verdiglione dice appunto a proposito, che occorre passare dal mito alla saga.
Questo viaggio integrativo, con tutti i suoi dispositivi, non può andare senza generosità e quindi senza amore.
L’amore, di cui il setting analitico consente di dire l’essenziale, riprendendo Lacan, è quando si da quello che non si ha, cioè l’ascolto, a qualcuno che non lo vuole, perché vorrebbe le risposte o perché vorrebbe sentirsi dire quello che già sa.
Senza ascolto impossibile la novità.
Novità, novella, novello, giovane: anche alla giovinezza si giunge, non si nasce giovani.
Si rinasce fanciulli, In-fantiolus, infanti, non si parla sviluppando un linguaggio, adoperando una lingua, ma ci si nutre di favole, di Fabula, si alberga nella facondia.
E poi dunque le annosità, le difficoltà.
Com’è che l’Annus, l’anello si piega (Acnus, Akna) e invece di torcersi, di generare la spirale, si curva e diventa cerchio? Così che le cose si trascinino e divengano annose, così che si faccia cortocircuito e si circuisca, ci si lasci circuire invece che integrare?
Ma Cristo, l’evangelica pietra, è dagli operai gettata via per poter diventare pietra angolare.
Ma senza di essa, senza la sua diretta infruibilità, senza la sua indiretta fruibilità, anche gli apostoli non possono diventare pietra fondamentale.
Ovvero senza il sembiante impossibile il relazionarsi, l’associarsi degli umani.
Certo il sole fa il suo giro, lo ripete, ma come è possibile che una giornata sia vissuta uguale ad un’altra?
La setta, il setting, la ripetizione, il rito: non si può parlare della Cosa Freudiana senza parlare della ripetizione, non si può togliere la ripetizione, la stessità della cosa.
Dire “stesso” indica già il due e non l’uguale, l’identico, l’identità, l’uno.
Com’è che gli infanti bramano che si racconti loro la stessa storia?
Non, secondo l’ottica psico-comportamentista, per essere rassicurati dal lieto fine in quanto conosciuto.
Gli infanti cibandosi di ripetizione intanto ascoltano e addirittura memorizzano incredibilmente ciò che sembrano non ascoltare.
Ma come si può normalizzare l’idea che i vecchi possano divenire sereni dementi senili, quando dovrebbero procedere invece verso l’età della scioltezza intellettuale, verso la giovinezza?
Occorre rilanciare la domanda, la ripetizione (petere = domandare), di dispositivo in dispositivo, altrimenti l’apoteosi della cronaca, del tempo cronologico in cui il passato pesa con la sua ombra nozionistica, alla quale si oppone qualcosa che fa notizia (notus = conoscere), senza accorgersi che l’ambito è sempre quello della gnosi, della conoscenza, del sapere acquisito, e quindi questo discorso mortifero non può che conclamarsi nei più svariati morbi (morbus, mors = morte).
Se la questione non è rilanciata, se la domanda non rimane aperta, non può che divenire morbosa.
Il Parkinson, un’estenuante tremolio, una monotono affermarsi dell’uguale.
L’Alzheimer, la memoria invece che essere indice dell’infinito, si contrae, proprio in un periodo storico contrassegnato dall’espansione commerciale, dall’espansione nozionistica, dall’espansione tecnologica.
Anche gli Imperi si fondavano sull’espansione, ma in merito a quello Romano, e quindi in merito agli Imperatori ecco la famosa frase di Tacito “… hanno fatto il deserto e lo chiamano pace. ”.
E oggi c’è la conquista di una posizione sociale, c’è il distruggere il vecchio per il nuovo, eppure appunto l’Alzheimer, la pace, la morte bianca, l’abituarsi e il prepararsi alla morte, la demenza e l’anestesia diffusa, la follia sistematizzata, l’Ybris, l’eccedenza incanalata nel conformismo, nello standard, e ovattata da perbenismo, dal political correct.
E quindi occorre divulgare al povero volgo facili istruzioni per potersi curare, per potersi preparare alla morte, tutto a discapito della provocazione intellettuale, della sembianza provocatoria di una relazione singolare, di una scrittura analfabetica e precaria, perché il desiderio si desti e la vocazione giunga, si incontri, si trovi come traccia.
La singolarità non ha nulla a che fare con l’individuo, con il soggetto, ma con la voce.
Nessuna possibilità di analisi, di apertura, di riuscita, di relazione, se il dispositivo è soggettuale.