Salve o regina, madre di misericordia, vita e dolcezza e speranza nostra, salve. A te ricorriamo esuli figli di Eva, a te sospiriamo gementi e piangenti in questa valle di lacrime. Orsù dunque avvocata nostra, volgi a noi, quegli occhi tuoi misericordiosi e mostraci dopo questo esilio, Gesù, il frutto benedetto del tuo seno. O clemente, o pia, o dolce Vergine Maria.
La regina, ciò che va oltre la donna. La madre, la direzione necessaria del corpo in gloria.
Senza la regina nel gioco degli scacchi è sopravvivenza di un re rassegnato alla morte, un patimento di nobili decaduti non più nobilitati dalla regina.
Dino Campana dice “Il bisogno della morte è insoddisfacibile!”, ovvero nessuna pulsione di morte, la pulsione è di vita, la pulsione è vita, nessuna salute, nessuna soddisfazione senza pulsione, solamente infinita salvezza.
Eva rinuncia alla vita eterna, alla vita calma, sicura, naturalistica, per l’eternità della Parola.
Noi esuli viandanti, soli, iniziati e principianti, non sopportiamo essere figli di madre e di padre, nostra madre è Eva, una donna mitica, noi nasciamo e rinasciamo nel mito, nel mito della madre, nel racconto. E nel racconto il volto di Cristo, lo sguardo. Vediamo perché andiamo oltre la visione. Non si può catturare, immobilizzare, vedere, prendere l’oggetto nella Parola, ma relazionandosi con esso è possibile vedere.
Quindi Cristo, dopo essere figlio ingenealogico di un Padre che non va senza Spirito, è anche frutto di un seno.
La sembianza, la relazione originaria.
Il sembiante come punto vuoto è causa, così che il corpo produca frutti, ovvero dal corpo alla scena.
Il corpo non è materiale ma pulsionale.
L’eternità, la verginità, la castità, attributi della Parola Originaria, rigenerante perché non prevede una creazione e una distruzione, ma neanche una trasformazione se non intendendola come cangiamento, come immaginario della sembianza. Attributi di una Parola provvida, che procede per integrazione.
Una regina che non guarda con sguardo materno, paralizzante, ma che indica.
La regina, la madre come materia della parola, come traccia insostanziale delle cose che giungono a compimento, che si scrivono.
La scrittura non tratta, non descrive qualcosa, la scrittura come precisazione del va e vieni della Parola.
Se la madre non è mitica, non è presa nel racconto, non è Regina, allora Eva diventa la prima donna, e quindi il figlio invece che funzionare come uno, procedendo secondo la sua erranza, reclama di essere ammesso nel clan delle prime donne, o rivendica il riconoscimento come miglior figlio, il migliore, il numero uno di tutti i tempi.
Oggi si rintraccia, si sente con maggior frequenza di un certo saffismo tra le donne.
Un saffismo differente da quello di Saffo e le educande sull’isola di Lesbo, ancor più differente dall’omosessualità femminile di chi vuole fare il maschiaccio, e quindi adotta il discorso che i maschi stessi vorrebbero abbandonare, quello frastico imitativo, e che quando non vi riescono arrivano addirittura a conclamare mettendosi a fare le donne, riuscendo solamente a diventare fastidiosi froci.
La parola “frocio” deriva da fruit machines, una macchina inventata in Canada per scovare gli omosessuali non dichiarati, ma che nella storia fin qui trovata calza a pennello per indicare uomini che vorrebbero imitare la Vergine Maria, la macchina da frutti, proprio loro che figli non potranno mai avere.
Un saffismo da intendere come ricerca della madre come corpo in gloria, come indice del malinteso, come ciò che va oltre la donna, non riuscendo a proseguire quando incappano nella domanda “Sono uomo o sono donna?”.
Dove cercare se non indagando e sperimentando l’intimità di un’altra donna?
Il rischio che corrono è il rischio di giungere alla complicità, all’intendimento, all’amore saffico, quando invece proprio la madre è indice del malinteso, di un odio che non vira in rabbia, ma che già si scrive in equivoco, malinteso, lapsus, ironia.
Per il discorso isterico il voler diventare famosi attiene a reclamare un nome, a voler farsi un nome, ma il nome del nome non lo troverà mai, perché la ricerca che è già trovata, che è già invenzione, è prerogativa del significante, ed il nome funziona in quanto significante rimosso.
10 Dicembre 2010