La Casta e la scomodità Russa

 

Torniamo indietro di circa vent’anni…ed ecco conversazioni con il Capo delegazione USA di bob durante gli allenamenti nei piazzali antistanti la partenza, in attesa che arrivasse il turno per la discesa di allenamento degli equipaggi della propria Nazione. Nato e cresciuto in Russia, grande appassionato di calcio e soprattutto di Gianfranco Zola (così mi chiamava), Mister President, (così lo chiamavo io), tra le altre cose mi parlava in qualche modo del popolo russo, nella fattispecie prendendo come riferimento il Capo delegazione della Nazionale russa di bob.
Il Capo delegazione russo, ovvero un omone di cinquantacinque anni, con colbacco e pelliccia, con moon boots anch’essi di pelliccia, con pantaloni della tuta rossi, con metà dentiera placcata oro, fidanzato con una delle giovani atlete e con ammanettata al polso durante gli spostamenti tra una località e l’altra del circuito di Coppa del Mondo una ventiquattrore nera.
Il quella valigetta c’erano i soldi che servivano per le spese di tutta la stagione di Coppa del Mondo della Nazionale russa: come diceva Mister President “For him is not possible credit card, only cash!”.
Un giorno, durante l’ultimo allenamento, ci fu la squalifica del bob russo per qualche fuori misura del mezzo rilevata dalla commissione materiali. L’omaccione col colbacco si presentò alla riunione pre gara con la famosa valigetta, dalla quale tirò fuori un paio di mazzette che gettò sulla scrivania della giuria, chiedendogli se bastavano per essere riammessi alla gara del giorno seguente, siccome i russi non erano tedeschi. Si riferiva ad episodi nei quali la squadra tedesca non venne squalificata malgrado equipaggio fuori peso massimo o perché il pattino lasciato appositamente al sole, al momento della partenza era risultato troppo caldo.

Ci furono anni nei quali la Nazionale italiana aveva come allenatore un ex bobbista lettone. Eravamo a Saint Moritz per la Coppa del Mondo, io feci gli allenamenti del bob a 4 già sapendo che sarei stato riserva in gara. Il giorno prima della gara però ero a letto con febbre a 40 e placche in gola, e si dovette quindi far arrivare una nuova riserva dall’Italia. Al lettone però la cosa non piacque, se la prese anche con il medico perché in Russia non sarebbe mai accaduto, mi avrebbero piazzato flebo di sostanze lecite e non lecite per tutta la notte, e il giorno dopo sarei stato sfebbrato. Chiaramente il medico gli disse che da noi non funzionava così. Comunque per la restante stagione mi ritrovai in Coppa Europa malgrado fossi particolarmente in forma.
Sempre lo stesso allenatore, al pilota che non riusciva ad intendere una curva o una pista intera, che continuava a sbagliarla negli allenamenti, consigliava di prendersi una sbornia di vodka prima di andare a letto, che magari il giorno dopo sarebbe riuscito.

Chi in quegli anni però (e non solo in quegli anni) doveva stilare un programma di allenamento atletico si rifaceva ai testi di fisiologia dei Russi, e anche sotto l’aspetto tecnico in atletica leggera e in molte altre discipline venivano considerati e consultati gli allenatori Russi.

Queste premesse per esprimere il sentore che nell’accanimento odierno contro la Russia sotto l’aspetto doping, tanto da escluderla nuovamente dai prossimi Giochi Olimpici, ci sia il prendersela contro chi per sua indole schietta, diretta, senza troppi filtri, non è disposto a far parte della casta, in questo caso il Cio e le Federazioni Internazionali, compresa la Wada, l’Agenzia mondiale antidoping che, come l’abominevole caso Alex Schwazer mostra (e per il quale la Federazione Italiana omertosamente tace), non è sicuramente scevra da scandali.
Il tutto allargato e collegato a vicende di geopolitica….ma quant’è scomodo Putin?

Il tutto evoca il povero e grezzo Ben Johnson, e la sua clamorosa squalifica, perpetuata perché irrispettoso ruppe le uova nel paniere alla Nazionale Statunitense di Carl Lewis, e pagò perché usava ciò che era andato per la maggiore fino ad allora, ovvero gli steroidi anabolizzanti, invece che all’epoca il sofisticato GH, l’ormone della crescita, che gli Statunitensi davano l’impressione di conoscere già molto bene.

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