Fino alla fine del mondo

 

La versione presentata è quella originale (quasi cinque ore), quella lunga uscita solamente in DVD, per la conservazione della quale il regista ha escogitato espedienti, in quanto dovette cedere con i distributori per la versione cinematografica (poco più che la metà).
Il maggior rammarico era quello di deturparne le musiche, perché tutti gli autori composero espressamente per Wenders, che diede come indicazione comune l’immaginare (nel 1990) che l’ambientazione del film fosse dieci anni dopo.
Di questa storia infinita i tre DVD in cui è suddivisa è come fossero tre puntate con ritmi differenti.

Nella prima sembra che il film possa essere la storia di Clare Tourneur, tanto da indurre un critico cinematografico a definire Fino alla fine del mondo come una nuova Odissea dove Penelope non è più a Itaca in attesa di Ulisse, ma va in cerca di lui (San Farber) intorno al mondo.
Il ritmo e le musiche sono serrate e sincopate, suggerendo questa rincorsa che deve continuamente zigzagare. I personaggi e le ambientazioni sono tutte un po’ folli.

Nella seconda c’è un rallentamento, una sospensione, la visione si concentra sugli sconfinati paesaggi.

Nella terza c’è una storia d’amore dello scienziato Henry Farber per la moglie Edith, resa avvincente (come sottolinea anche Wenders) dalla bravura degli attori, così come non accadde tra gli incompatibili Clare e Trevor.
Una storia fantascientifica che dice del timore di Wenders per l’estremismo di una visione fissata (arrivare a registrare e riprodurre i sogni) rispetto appunto al cinema come motion, come viaggio.
C’è il deserto e gli aborigeni australiani, che hanno dato l’input a Wenders di arrivare fino alla fine del mondo, dove il tempo sembra essersi fermato, dove occorre ritornare perché quella che riaffiora nella sua essenzialità è la questione del racconto. Un detto delle tribù australi citato nel film: “La terra è come la Bibbia, se non la si narra essa morrà e noi con essa”.
Eugene Fitzpatrick, il marito di Clare, che nella prima parte del film si era rimesso a scrivere perché Clare lo aveva lasciato dopo la scappatella di lui con la migliore amica di lei, per elaborare il lutto era ricorso alla solitudine, alla preghiera, alla scrittura. Nell’ultima parte trova l’essenzialità del suo personaggio, cioè l’ennesimo Omero, lo scrittore e narratore, e permette a Wenders di riservare un esplicito e importante elogio al “racconto” come dimensione essenziale per gli umani: “Io credevo nelle parole e nel potere di guarigione del narrare storie”.

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