L’inebrio del non ritorno

 

Capita di sentire il commento: “La psicanalisi rende le persone fredde, prive di emozioni”.

La psicanalisi dispositivo di Parola Originaria, come la scrittura. La psicanalisi preambolo verso la scrittura.

Kafka narra dell’inebrio che lo coglieva quando scriveva il diario.
Su un quotidiano odierno l’ennesimo letterato indica l’incontro con il testo Kafkiano come tappa fondamentale nel suo percorso verso la scrittura.
Tanti intellettuali, scienziati, uomini che sentono l’arte, considerano l’incontro Kafkiano non indifferente nella loro vita.

Quante volte si è alla ricerca del proprio passato nel tentativo di fissarlo, cronicizzarlo, ontologizzarlo, cercandolo nei simili, nel sociale, nell’amicizia, e spesso quindi l’incontro con la chiacchiera, il pettegolezzo, il rumore, con la paura del silenzio e della solitudine vissute assordanti.

Cimentandosi con la scrittura l’incontro con il passato che procede dal futuro, il passato che si sta scrivendo, il bambino che si emozionava scrivendo la letterina alla compagna di banco, che porgendogliela s’intimidiva in gestualità fuggevoli, immaginandosi di poterle passare le emozioni provate mentre la scriveva.

Nelle varie fasi dell’analisi capita anche di aver paura della paura, dell’angoscia sperimentata all’apice della crisi. Di conseguenza la ricerca di modi per esorcizzarla.
Ma poi l’accorgersi che la paura è la paura del non ritorno. Ciascuna crisi se attraversata apporta novità assoluta, nulla sarà mai come prima.
Il rischio di parola, il rischio di scrittura come garanzia della memoria immemoriale, delle cose che ritornano senza essere mai state.
Al posto della paura l’inebrio dell’infinito in atto, dell’apertura, dell’avvenire che va scrivendosi, dell’eternità.
L’angoscia, l’angustia, la strettoia, il collettore per la riuscita, per il debutto.

10 Aprile 2010

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