Ama il prossimo tuo come te stesso

 

La provvidenza evangelica, il miracolo evangelico.
Cristo ha sempre rifiutato il miracolo a chi lo chiedeva come prova, come prodigio, come se al Figlio di Dio fosse possibile chiedere qualcosa di naturale, quindi un prodigio naturale, un adoperarsi, un prodigarsi utilizzando il talento naturale.
Carmelo Bene diceva che il talento fa ciò che vuole, il genio, chi cioè procede dall’intendere, dal disleggere, dal leggere tra le parole, dalla lettura come colmo della scrittura, fa ciò che può.
Il miracolo non si compie se c’è di mezzo la volontà di un accanito e volenteroso soggetto. Poteva essere un soggetto il figlio dell’uomo e il figlio di Dio?
Esigevano la prova per poter credere e malgrado le prove continuavano a non credere, e lo hanno crocifisso.
A chi ha concesso Cristo il miracolo, questo evento che nulla ha a che fare con il naturale?
Il Giusto Cristo ha concesso il miracolo a chi non gli chiedeva il miracolo, semplicemente cosa poteva chiedere una madre che aveva il figlio morto a colui che si diceva potesse far risorgere le persone? E semplicemente come avrebbe dovuto agire chi poteva far risorgere i morti di fronte a questa richiesta?
Vai la tua fede ti ha salvato”, come a dire che lui non avrebbe potuto far nulla senza che ci fosse già la fede.
Se s’è fede, l’attributo di chi procede facendo, se c’è provvidenza, nessuno è escluso, i pani e i pesci si moltiplicano secondo l’occorrenza, gli incontri, e non le persone, sono quelli giusti (eppure quanti sono in cerca del compagno giusto, del lavoro giusto, del luogo giusto).
A ciascuno procedere nell’occorrenza, l’interlocuzione non si nega a nessuno ma non è per tutti. “Sarò e sarete pescatori di uomini”, ma non di tutti gli uomini, “Lasciate che i morti seppelliscano i morti”.
Cosa portava il Salvatore? Liberava l’uomo dal peccato. Ma quale peccato? La pecca che non lo renderebbe perfetto, che gli fa mettere il piede in fallo?
La salvezza non è del furbo soggetto che la scampa, che la fa franca, che si ammala, guarisce, si salva o muore, che la scampa dalla morte e la scampa dal mettersi in gioco, che demanda ad un altro soggetto, e quando non basta addirittura ad un Dio la miracolistica, mirabolante, spettacolare, paranormale, occulta, soteriologica, segreta guarigione o vincita all’enalotto (salvami, non dirò a nessuno dei tuoi poteri, fallo solo per me, solo questa volta, dammi la prova d’amore per me che sono speciale…)
La salvezza come salute, come sanità, attiene all’integro, al sembiante, all’oggetto nella parola, intoccabile, imprendibile, non catturabile, non addomesticabile. La sanità attiene al procedere per integrazione, secondo l’occorrenza, nel gerundio della vita, facendo. Non facendo qualche cosa per riempire il tempo, occupandosi delle cose per cui si è abilitati, patentati, si è specialisti, specializzati, portati e predestinati.
Questa la Parola Originaria, sempre originaria perché non naturale, senza principio e quindi eterna, sempre seconda perché secondo l’occorrenza.
Se le cose sono nella Parola sono miracolose, sono meravigliose.
Chi è nel fare, nel viaggio senza rappresentarsi l’Altro, senza l’idea di se, degli altri, del mondo, di come andrebbero o starebbero le cose, è ammirevole, ma non da intendersi rispetto al poter essere disprezzabile, denigrabile, invidiabile, emulabile, ma semplicemente è bello, semplice, umile, è come se facesse intendere qualcosa dell’anatomia del sembiante.
Quale bellezza si cerca invece tramite la chirurgia estetica?
Cristo indicava i poveri per indicare chi spesso vive nell’occorrenza. Poveri in Spirito, cioè non è del soggetto, neanche se metafisico o spiritico, il soffio, lo spirito d’iniziativa, la lena, l’istanza pulsionale che sgorga quando l’Altro non è escluso.
Oggi c’è una moltitudine, un gregge, una comunità di individui che vogliono, che reclamano di essere riconosciuti speciali. Non fanno altro che proporre il discorso dell’apparire legato allo sguardo, al visibile, quando invece chi procede facendo è speciale perché procede dal punto vuoto, dal sembiante, ed è sembiante lui stesso.
Relazionarsi con il sembiante, procedere dal punto vuoto perché le cose si scrivano, si compiano, si qualifichino, si valorizzino.
Rapportarsi con il sapere, con il punto di vista, non può che portare al girare in tondo, all’affaccendarsi, all’occuparsi e all’occupare una parte, un ruolo predefinito e sostanziale di un soggetto sicuro, che procede da madre certa, dall’eroina compassionevole e dolorosa, che va in crisi di astinenza perché continua a salvarsi, a procrastinare, ad astenersi, a non mettersi in gioco nei dispositivi di Parola, a chiacchierare, a lamentarsi, a spettegolare, ad assumere sostanze e ad assumersi la colpa.
Liberare l’uomo dal peccato”, non è da intendere da una colpa commessa perché ha infranto la legge scritta, ma indicargli la via della relazione con il sembiante (Cristo era il Sembiante, la Parola e la Vita), per potersi liberare dal senso di colpa per non aver fatto abbastanza o aver fatto sbagliato, in ogni caso un arresto, un’attesa, un tergiversare, un pensare e pensarsi, un rappresentare se e il mondo che impedisce il fare secondo l’occorrenza.
Cristo e l’amore di Dio, l’amore del Padre, aver portato sulla terra il discorso dell’amore e quindi solo l’amore salverà l’uomo.
“Ama il prossimo tuo come te stesso”.
L’amore autentico, come diceva Freud, è l’amore da transfert. Amore che non va senza odio.
Cristo non intendeva certamente l’amore platonico, l’amore cortigiano, l’amore romantico.
Non andate ad occuparvi dei popoli del terzo mondo, di adozioni a distanza, per non occuparvi delle cose che occorre fare senza demandare, per non articolare, progettare, narrare ciò che appare come ostacolo più prossimo, ad esempio il sintomo.
Amare il prossimo intende riuscire a porre interlocuzione con le persone che stanno accanto, le persone che si incontrano, riuscire a relazionarsi con esse.
Prossime, perché sempre prossime, prossimali, imprendibili, intoccabili, solamente adiacenti.
L’amore non va senza l’odio, e quindi la relazione è impossibilitata dicotomicamente a farsi rapporto, a fare uno, a fare coppia, coppia sociale, ognuno con il proprio ruolo, ivi compreso anche quello maestro – allievo.
La fede, ovvero l’interlocuzione occorre sia sempre prossima, inaspettata, imprevista ma non inattesa. Un’attesa non spasmodica, legata ancora all’amore spasmodico, referenziale, senza odio, ma un’attesa che procede dalla dimenticanza, dalla memoria che si scrive.
E qua anche la questione ebraica, che indica l’assoluta sembianza dell’Interlocutore, tanto da considerarlo sempre atteso.
L’attesa non come prerogativa del soggetto, ma come attributo del fare, è simultanea all’annunciazione. L’attesa e l’annunciazione procedono dal racconto delle cose che si fanno, annunciazione e attesa dell’incontro provvidenziale.
Così Nietzsche in Così parlò Zarathustra, cercando di far intendere la sua idea del Superuomo come superamento dell’uomo: “E se il vostro pensiero soccombe, la vostra onestà ne canti trionfo! Dovete amare la pace come mezzo per nuove guerre….Non vi consiglio di lavorare, ma di combattere. Non vi consiglio la pace, ma la vittoria! Si può tacere e stare zitti solo se si hanno arco e frecce: altrimenti si chiacchiera e si litiga. La vostra pace sia una vittoria! Voi dite che la causa buona santifica persino la guerra, io vi dico: è la buona guerra che santifica ogni cosa. La guerra e il coraggio hanno fatto più cose di quelle che ha fatto l’amore per il prossimo. Finora la gente in pericolo non è stata salvata dalla vostra compassione, ma dal vostro coraggio….La vostra nobiltà sia l’ubbidienza! Il vostro stesso ordinare sia un ubbidire!
Il capitano, il dirigente, come fa senza l’autorevolezza, senza l’ubbidienza, senza l’Ascolto? Senza il coraggio che non attiene al buon cuore della madre compassionevole, al buon uomo, ma come attributo della battaglia intellettuale, che non prevede ostacoli avversi, che procede dal rischio di parola senza il pensarsi o pensare cosa diranno gli altri, combattendo l’idea di se, degli altri, del mondo.
Essere nel viaggio, nella battaglia intellettuale, questa la vittoria. Coraggiosi, procedendo secondo la pulsione, l’istanza pulsionale che non punta alla morte bianca, alla pace dei sensi, ma che non estromette la sessualità, il debordamento, che punta alla qualità, alla tranquillità.

 

14 Aprile 2010

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