Il fantasma che opera

 

La difficoltà a relazionarsi tra persone, tra simili, dice innanzitutto del non riuscire a conversare, a discorrere. Dice del prevalere del discorso, del luogo comune, del discorso dell’epoca, della temporalità presente, la temporalità di soggetti presenti a se stessi, con le loro storie già scritte, che credono di avere un passato come causa e di avere un futuro già destinato, di avere una vita standard da seguire.

Dice di una ripetizione dell’identico, con il fantasma come idea che sarebbe agibile tanto da potersi trasformare in realtà e divenire fantasma materno, cioè la verità come pura realtà dei fatti, la mamma ha sempre ragione.

Occorrono dispositivi per accorgersi che la ripetizione non è copia della realtà, la realizzazione dell’idea, il nome delle cose.

Occorrono dispositivi perché il fantasma operi, perché ci sia fantasia, perché la luce come phanos si scriva è non sia indice di oscurantismo ed illuminismo soggettuale.

I soggetti al discorso dell’epoca, trattenuti al palo, all’epochè come punto fermo, non possono relazionarsi perché è la relazione ad essere originaria.

Questa relazione è sembiantica in quanto impossibile.

Sembiante quindi da intendersi come punto vuoto.

Un dispositivo è tale se c’è sembianza in atto. Se c’è sembianza in atto il fantasma si scrive nella modalità tripartita verdiglioniana, frastica, sintattica, pragmatica.

Ovvero è possibile vedere, se animato è il caleidoscopio immaginario, se il punto si sottrae rilasciando un effetto di frase.

Ciò che vediamo è solamente allucinazione, è appunto un punto di vista, nulla di reale.

Certo il dialetto ossessivo tende ad ob–sidere, a sedersi intorno a questo punto, a rimanere fisso, a rimanere incantato. Si soffre lo sguardo se quel punto non è più in fuga.

Sadismo e masochismo sono facce della stessa medaglia con su scritto “Il punto non è più in fuga”.

Senza il punto di fuga non sarebbe possibile la strategia, tutto sarebbe improvvisato e porterebbe allo spavento, senza la possibilità dello stratos, della distensione, della stesura del programma.

E’ possibile cambiare frase, è possibile stressarla se il punto distrae. “Ancora, ancora, non è mai quello” sembra essere il vessillo esprimibile nel dialetto isterico.

E intanto però la sintassi si scrive, la cose trovano la loro taxi, il loro ordine, il loro ritmo, la loro tattica, il loro progetto.

Grazie al punto di astrazione l’assoluta novità, qualcosa si abduce dagli astri, da un altrove.

Solo così l’effetto pragmatico, le cose si concludono riescono s’incontrano e non finiscono.

L’incontro con il simile riesce in quanto mancato, in quanto impossibile, non va senza la solitudine, la verità come traccia, lo spirito d’iniziativa, la volontà di potenza, cioè volere e potere sono indissociabili, l’apertura è tale che nulla risulta precluso.

Il simile non è più vissuto come un identico uno dell’insieme degli ogni-uno, è preso nella sembianza, è associato in questa relazione impossibile che non è più a due perché è un dire narrativo, imprenditoriale, assolutamente integrativo, di personaggio in personaggio.

Il “ciascuno” verdiglioniano, come rilascio di questa relazione non è riferibile a dei soggetti, al limite solamente delle solitudini, ma è cifra della relazione singolare, ciascuna volta differente.

“Ciascuno” rende meglio l’idea della proprietà distributiva, ovvero che dispensatore è il sembiante.

Senza relazione originaria nessuna possibilità di giustizia, di giustezza, solamente rapporti insiemistici, dove la partizione è logico razionale, tra soggetti inciviliti evoluti giudiziosi e perbenisti, e per essere giusta non può che essere sempre uguale, soprattutto uguale per tutti.

 

9 Maggio 2012

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *