Zelig

 

Leonard Zelig, camaleonte che per togliere via il disagio si identifica all’interlocutore, enuncia qualcosa di oppositorio rispetto a ciò che fonderebbe il legame sociale ideale, “qualcuno che si comporta con tutti allo stesso modo”.

La sindrome del camaleonte si precisa amplificandosi in concomitanza con l’effetto mediatico e televisivo, questione ripresa dieci anni più tardi da Robert Zemeckis nel film Forrest Gump.
La questione televisiva come questione dell’estremamente popolare, tanto che Zelig quando scappa finisce al fianco di figure popolarissime come il Papa o Hitler.
La fantasmatica televisiva di essere visto in tutto il mondo richiama “lo stesso modo”, il conformismo, lo standard, l’uguale per tutti.
Ma da rilevare c’è anche la questione del tempo, e quindi dello stesso momento, della sincronia.

Wim Wenders dice che attraverso Fino alla fine del mondo è riuscito a celebrare la fine della cultura visiva nella quale siamo immersi, ma questa cultura visiva ha delle implicazioni nell’apoteosi della cultura televisiva, atta ad evitare l’incontro con le cose nella Parola.
Siccome se le cose non sono visibili e presenti nessuno garantisce che esistano, che continuino ad esistere dall’altra parte del pianeta, allora il tentativo di sincronizzarle e renderle visibili da tutti, cercando così di tenere in piedi anche il concetto di realtà.

L’effetto diacronico e dispersivo di Zelig rispetto alla rappresentazione dicotomica spazio – tempo, lascia intendere lo spazio frammentato che necessita della televisione per sincronizzare il tempo, così da poter eludere il taglio del Tempo.

Ma non è possibile tener fuori il Tempo come Taglio, e il discorso schizofrenico non indagato può portare al suicidio, proponendo e cercando estremismi sincretici e desertificanti. Come dice Giancarlo Calciolari, può giungere ad incarnare il Tempo, e quindi il taglio, il suicidio, giunge come mannaia.

Se si tiene fuori il Tempo allora si elude anche l’Inconscio di accezione freudiana, cioè qualcosa che è a disposizione di tutti.
Come intendere questo qualcosa di non visibile, di non percepibile da nessuno dei 5 sensi, ma che è a disposizione di tutti?
Come dice Lacan in Radiofonia Televisione (interviste-interventi rilasciati nel 1970 e nel 1974 alla radio belga francese e alla televisione francese) “L’Inconscio è condizione della linguistica”, a cui potremmo aggiungere della semiotica intendendole verdiglionianamente come scrittura del fantasma del linguaggio e del segno, della geometria e dell’algebra.
Dire che l’Inconscio sia a disposizione di tutti è per precisare che non è quello sempre esistito negli archetipi junghiani, che si opporrebbe a qualcosa di solipsistico, cioè che accompagnerebbe il soggetto alle prese con la finitudine circolare del tempo inevitabilmente verso la morte.
Evitare l’inconscio a disposizione di tutti per evitare l’impossibile della solitudine, dell’io e dell’ontologia, del soggetto ontologico.
La famosa frase di Freud “La dove l’Es era l’Io deve avvenire”, è per dire che l’aprioristica spazio – tempo di Kantiana memoria è da riferire all’Inconscio, che non può andare senza anche una aposterioristica, che più che “Io” sarebbe giusto chiamare riprendendo Schopenhauer e Nietzsche, volontà, cioè nel gerundio anche la scelta è insoggettuale (l’etimo di volontà è scelta), perché la direzione il progetto e il programma si scrivono solamente facendo.

La disponibilità dell’Inconscio è perché le cose si dispongono incontrandole nella Parola, nel gerundio, facendo e narrando. Non s’impongono né possono imporsi.
Una disposizione provvidenziale, da cui la fede che quest’apertura, quest’infinito in atto, consenta a tutti sempre una chance singolare ed inedita.

Quello che propone e provoca l’analista non è la dissociazione, ma l’integrazione come modo di relazione asociale, verso quella che Verdiglione chiama la telecomunicazione, cioè la scrittura inedita proveniente da un altrove, che non è mai lontano in quanto sempre albergante nella prossimità, non consentendo ogni forma di comunicazione duale, soggettuale, compresa quella che fondandosi su un patimento compassionevole ed empatico giunge sino alla telepatia.
Il famoso invito evangelico “Ama il prossimo tuo come te stesso” è da intendere. L’amore autentico, il transfert della conversazione analitica, è perché in atto c’è questa prossimità, quest’imminenza, questa tensione verso la scrittura delle cose. Se le cose non si scrivono ecco l’amore referenziale tra un soggetto e il suo ideale oggetto, o tra un soggetto e l’idea di se stesso.

Solo attraverso la relazione asociale, solo attraverso questo narcisismo, riprendendo ancora Verdiglione, quest’identificazione può giungere ad identità e l’interrogativo rimanere aperto. Interrogativo che sempre in Radiofonia Televisione Lacan formula meravigliosamente: “Come dimostrare onde all’uno (riferendosi a Freud e Saussure) giunse aria dell’altro prima che esistesse la radio?

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