Intervista di Gianluca Delmastro con Vittorio Mathieu – Torino, Maggio 2005
Vittorio Mathieu: laureato in filosofia teoretica a Torino nel 1946. Insegnante all’Università di Trieste (filosofia teoretica) e a quella di Torino (filosofia e filosofia morale).
Accademico dei Lincei dal 1990. Gli interessi di Mathieu vertono sul rapporto tra scienza e filosofia, entrambe indispensabili per intendere la realtà da punti di vista complementari.
GD Considerando la sua esperienza, che parte come studioso, come professore di filosofia, appare interessante che nei suoi testi lei si sia soffermato molto sulla scienza, la scienza europea che si contraddistingue ponendo che tutto sia da inventare, in quanto occorre andare incontro alle cose.
VM Senza dubbio la scienza ha rappresentato per me un punto di partenza, non per coltivare specificamente la filosofia della scienza, ma piuttosto per distinguere nella realtà che ci circonda la dimensione in cui la scienza rende conto da eventuali altre dimensioni, non altri oggetti, altri territori, altri campi, ma altre dimensioni dello stesso territorio che invece la pura scienza fa astraendo liberamente. Bisogna vedere da cosa astrarre: astrarre da una certa dimensione che rende esistente la realtà, e questo penso che soprattutto con il volgere del secolo, ma almeno dal 1950 in poi, al termine della seconda guerra, sia importante perché la scienza forse più nuova, a suo modo anche promettente è la scienza del virtuale, inteso come trasmissione d’informazioni che può ridursi ad un’informazione come si dice oggi digitale. Oggi questo è di gran moda, e penso che siamo ancora all’età neolitica, paleolitica forse anzi, arriveremo al neolitico, però certamente è probabile che sia una trasformazione nel modo di adoperare e concepire il mondo scientificamente paragonabile al passaggio dal paleolitico al neolitico nella civiltà. Penso che effettivamente il volgere dei tempi sia di questa portata, quindi con un’importanza molto superiore per esempio alla rivoluzione industriale.
GD Possiamo dire che lei non si sia occupato in maniera scientifica della filosofia, ma dalla filosofia ha riscoperto, tramite ad esempio Eraclito, un qualcosa che potrebbe dare il via al discorso scientifico europeo?
VM Se devo dire tutto direi che mi occupo della dimensione della filosofia che non si riduce alla scienza, l’aspetto per cui è irriducibile alla scienza.
Dell’informatica ne sono a digiuno, e anche dall’esterno me ne sono occupato per poco tempo; in pratica la cosa ha trovato applicazione ed ampio sviluppo nella seconda guerra mondiale in funzione militare, cioè trasmettere in tempo reale le informazioni necessarie per esempio ad un apparato di puntamento di un cannone.
Ci sono stati scienziati, sia di base, sia di scienze applicate, che hanno dato molto in questo campo: dal punto di vista di base forse il più interessante è Turing, il progettista ideale, con la sua celebre macchina universale di decisione in cui attraverso una serie di uno e zero, comunque di due scelte primarie tra due possibili segni, si può effettivamente costruire tutto il sapere. Un altro scienziato complementare del secolo scorso penso sia Gödel, perché con il suo processo di alfabetizzazione ha realizzato quello che Leibniz aveva pensato ma non attuato, e cioè ridurre qualsiasi concetto ad un numero e quindi qualsiasi ragionamento ad un calcolo; infatti qualsiasi concetto è esprimibile con un numero di Gödel univocamente determinato, ed i numeri di Gödel si possono calcolare. Naturalmente la cosa non ha dirette applicazioni pratiche, perché non si può prendere una striscia lunga molte volte l’universo, però la teorizzazione è perfetta, e proprio questo ha permesso, come è noto, a Gödel di dimostrare l’impossibilità di dimostrare con consistente coerenza, non contraddittorio un sistema formale abbastanza ricco all’interno del sistema stesso, cioè questa dimostrazione rinvia ad un sistema più potente.
Quindi non chiusura della matematica come aveva sperato Hilbert, e queste cose sembravano appunto interessanti per la logica, ma anche sostanzialmente tanto discusse.
C’è quel esempio di Ladriere, che insegnava all’università Cattolica di Lovanio, e che non so se sia ancora vivo, che è al tempo stesso specialista di teologia e di sistemi formali, per dire di come fosse già molto vasto decenni fa l’interesse per queste questioni.
Oggi le applicazioni dell’informazione digitale sono molto mentali, basta vedere come scrivono sugli autobus il numero, la destinazione, il percorso, cioè con una serie di lampadine acceso-spento; l’interessante però, e questo non so se qualcuno l’abbia rilevato, mentre per la macchina di Gödel basta l’ordine e quindi una sola dimensione, per trasformare questa informazione digitale in una informazione analogica occorrono due dimensioni e per rendere la scritta leggibile le lampadine devono essere disposte in un rettangolo, e questo può essere uno spunto per una possibile riflessione filosofica.
GD Nei filosofi più antichi chi può essere considerato precursore di questo discorso?
VM Il precursore per eccellenza è sicuramente Leibniz: il Leibniz logico che però non può essere isolato dal Leibniz quasi mistico, quietista. C’è stato il tentativo di indurre Leibniz alla logica di Leibniz, ma lui stesso non ci è mai riuscito. Lui ha preinventato, ha perfezionato la macchina calcolatrice. Il concetto di computer viene di lì, la lingua dei calcolatori viene di lì, però Leibniz non era in grado di costruire un calcolatore che potesse fare anche solo le quattro operazioni.
Notiamo che Leibniz era un sostenitore della filosofia perenne e l’espressione è proprio sua; adesso la adoperano gli scolastici per riallacciarsi alla tradizione aristotelica connessa, però l’espressione filosofica perennis si trova in una lettera di Leibniz a Jacobson, un suo maestro, in cui dice “io voglio, ho il coraggio di evocare (quando sembravano completamente demolite dall’impostazione cartesiana) le forme sostanziali degli scolastici (che lui chiama monadi)”, e quindi da questo punto di vista è un innovatore-conservatore e questa è la cosa che lo rende molto interessante.
Da un’altro punto di vista è tragica la sorte di Leibniz, perché essendosi occupato dell’universo, di politica, di come togliere l’acqua dalla miniere di carbone, di igiene, di conciliazione delle chiese e quant’altro, abbia fatto in ogni campo dei progressi, abbia avuto anche successo economico visto che si faceva dare pensioni un po’ da tutti, ed abbia escogitato delle cose interessantissime, ma in qualche modo è fallito: poteva dirsi fallito perché alla fine fondava accademie e l’unica accademia che lo ricorda è quella di Francia, che tra l’altro non aveva fondato lui, ed al suo funerale c’erano poco più di due persone.
Questo per dire dell’attualità di un filosofo classico.
GD Sarebbe interessante sapere la sua interpretazione della psicanalisi, quella che nasce con Freud e che propone il discorso scientifico, in quanto, benché si fosse ispirato anche a filosofi, l’ha messo in pratica in ogni momento, mettendosi continuamente in gioco, sempre alla ricerca di un sapere ma per essere immediatamente rilanciato.
Freud ripreso da Lacan, che nelle sue elaborazioni si è rifatto molto a De Saussure, che filosofo non era…
VM Freud come medico aveva una base positivistica, però come psicanalista va ben al di là della filosofia positivistica per esempio di Spencer. Dal punto di vista della spiegazione del problema delle nevrosi sino al mondo delle psicosi io penso sia stato un successo straordinario, ed anche i piccoli casi della vita, le dimenticanze, tutti noi le abbiamo potute sperimentare.
Di Lacan mi sembra interessante arrivare a considerare le nevrosi e le psicosi con l’analisi del linguaggio.
GD E mi dica qualcosa di Verdiglione, e delle pubblicazioni che lei ha presso Spirali.
VM Conobbi Verdiglione quando volevo far pubblicare un libro sul demoniaco della musica.
Lui voleva aprire la casa editrice anche in Francia, e si interessò a questo libro che tra l’altro i francesi tradussero addirittura in italiano.
Lì iniziai ad interessarmi ai sui scritti che all’inizio mi parevano incomprensibili, poi pian piano qualcosa mi sembrò di cogliere.
Andai parecchie volte a Senago, lo incontrai a Torino e fui invitato da lui a Tokio.
Mi ha sempre incuriosito dove lui prendesse tutti i soldi per organizzare i convegni e come facesse ad invitare sempre personaggi così importanti.
GD Riprendendo quello che ho letto nei sui libri, le chiedo se possiamo affermare che non è tanto importante quello che si dice, che il significare delle cose non è così prendibile, ma molto di più può essere colto per esempio sul versante della musicalità, che proviene da un nulla, da qualcosa che non c’è.
VM Sì, sì, sono pienamente d’accordo.
GD Prima di cominciare l’intervista lei mi di diceva si sta interessando alla questione del terrorismo…
VM Sono intervenuto recentemente ad un incontro dell’Unione Industriale di Torino, e nella mia analisi distinguevo tra la funzione strumentale del terrorismo e la funzione apocalittica, cioè rivelativa, in quanto apocalisse vuol dire rivelazione.
Le due cose di fatto sono congiunte, ma in molti casi, come per esempio in Palestina, il terrorismo è strumentale rispetto alla liberazione della Palestina da parte degli ebrei, ma quello del celebre Osama Bin Laden è un terrorismo apocalittico.
GD Lei diceva che l’Europa è così com’è anche grazie alla scienza, e se non ci fosse stata la scienza non ci sarebbe stata l’Europa che conosciamo.
VM Senza dubbio: ci sono atteggiamenti simili tipici dei giapponesi, ma la scienza è la scienza Europea.
GD La scienza considerata sempre da inventare e così anche per l’apporto Ebraico? Mi rifaccio proprio agli ebrei, sempre perseguitati fino all’epoca nazista; coloro che erano sempre nella dimensione dell’Altro, dell’alterità, dell’essere eterni viandanti come quello germanico citato nel suo libro, senza una patria, senza tutto sommato un sapere, perché la loro famosa Torah è sempre rimessa in discussione, ridetta, interpretata nel Talmud, raccontata nelle sinagoghe, in un certo senso sempre irrisa; così il loro Dio iconoclasta sempre da venire, sempre da inventare.
VM Riferito alla scienza, nonostante Einstein e tanti altri, in particolare l’alta cultura americana, dubito che l’ebraismo abbia particolarmente contribuito al suo sviluppo.
GD Oggi il discorso scientifico, nell’accezione precedentemente accennata, sembra avere una pausa, di pari passo forse con la globalizzazione, anche se tutto ciò andrebbe analizzato con maggiore attenzione. Possiamo vedere concomitanti il blocco del discorso scientifico ed il sorgere del terrorismo?
VM Il terrorismo è stato certamente inventato dalle religioni del libro. Nelle religioni politeistiche c’è un terrorismo strumentale, basti pensare ai romani; il terrorismo apocalittico è tipicamente di origine ebraico cristiana: era anche strumentale con le trombe di Gerico, la fine dei tempi, o nell’inferno o nel nulla, ed è tipicamente appunto ebraico.
I romani hanno praticato il terrorismo contro gli ebrei e contro quella setta ebraica che erano i cristiani, e San Paolo è un illustre persecutore.
Lì certamente c’è un aspetto escatologico del terrorismo e cioè il terrore del nulla, le cose ultime, inferno, paradiso, giudizio finale; per far affiorare una verità vetero testamentaria anche nel Nuovo Testamento.
Il terrorismo kamikaze: perisca Sansone e tutti i filistei, ed alla fine Sansone si sacrifica demolendo il tempio dei filistei; quindi prima che nei giapponesi i kamikaze c’erano anche negli ebrei.
La scienza non è chiusa, ma è aperta su una propria dimensione, e la scienza molte volte va d’accordo con il misticismo.
Pensando per esempio a Keplero, a parte sua madre che è stata bruciata in quanto ritenuta strega, si può notare che le sue opere sono piene di misticismo, ed anche Newton era un alchimista, un teologo.
Su questo punto è interessante il libro di Koestler intitolato I Sonnambuli, dove mi sembra proprio che questo aspetto della scienza con la metapsiche sia riscontrabile.
Soprattutto la cultura anglosassone è molto interessata a questo aspetto della scienza collegata con la metapsiche.
GD Come vive lei oggi la sua nuova professione di giornalista? Può delineare delle differenze con il suo precedente lavoro di professore universitario, oppure c’è un filo conduttore che li lega?
VM Non ci sono grandi differenze. Il mio interesse più che per l’insegnamento è sempre stato per la ricerca. Oggi per me l’università è un libro chiuso, è cambiato tutto compresa la terminologia.
Quando ero docente la cosa noiosa erano gli esami e i consigli di facoltà, mentre l’insegnamento non mi dispiaceva. Quando sono andato in pensione ho incominciato a fare il mestiere del giornalista, che considero il più professionale di quelli che ho fatto.
Ciò che risento di più è la difficoltà ormai di praticare qualche sport.
GD Sta scrivendo qualche nuovo libro?
VM Ne ho uno che raccoglie le riflessioni della vita che è abbastanza a buon punto e poi ho altre cosette.
L’ultimo, quello su Goethe pubblicato da Adelphi, mi ha lasciato degli strascichi su certi problemi goethiani, per cui devo mettere a punto qualcosa per esempio sul Faust.
Adesso è uscito nuovamente da Rizzoli Tascabili il libro Perché leggere Plotino, che è uno di quelli che stranamente ha avuto più facile vendita, perché Plotino sembra così antico, ma se lo si va a leggere risulta attualissimo. Anche come critico della scienza è puntualissimo, critico per esempio delle scienze cognitive, delle tracce mnestiche.
GD Le racconto per finire un aneddoto collegato in qualche modo ad un suo libro.
Lei parlava prima degli atti mancati, delle combinazioni, ed io penso che la nostra vita sia tutta un’atto mancato, certo non sappiamo quando si svelerà…
VM Ah ah ah…sì, in senso lato certamente
GD Ricordo parecchi anni fa, di una conversazione analitica nella quale si parlò di come nella mia famiglia il rapporto con i libri fosse non osteggiato ma quantomeno neutro, ed in quell’occasione mi soffermai su un commento di mio zio, che vedendomi leggere non mi chiese cosa leggevo, ma solamente disse: “Stai leggendo?”.
Il curioso avvenne uscendo dalla conversazione, quando mi fermai in un bar per pranzare: in attesa dell’ordinazione, stavo leggendo il suo libro Gioco e Lavoro, in preparazione ad un intervento che avrei dovuto tenere alcuni giorni dopo, all’Istituto Avogadro sul tema Disagio e Comunicazione, e precisamente, vista la mia esperienza sportiva, Sport e Disagio.
Arrivò il cameriere e mi chiese incredibilmente: “Leggi questo libro?”: malgrado il mio smarrimento, il cameriere proseguì e disse: “ Ah Mathieu!…dice sempre cose interessanti?”
Il cameriere era stato suo allievo, e quindi questa significanza, questo interesse, questo valore aggiunto delle cose di cui lei parla nei libri, è riuscito a farlo passare nei libri che parlavano della significanza.