L’interlocuzione

 

Torino, 12 Febbraio 2011, Libreria Legolibri – In occasione della presentazione del Manifesto in difesa della Psicanalisi.

 

Sulla scia dell’intervento di Gabriele Lodari (Presidente di Tracce Freudiane, Associazione che mi vede ricoprire la carica di Vicepresidente) e di Luciano Faioni, ribadisco l’essenzialità di sottolineare l’emergenza di una dimensione intellettuale culturale ed etica, sempre più carente in ambito sociale e politico.
Benché tenti, quando mi è concesso, di essere analista, non posso non dichiarare che la psicanalisi non esiste, in quanto l’accezione odierna di questo termine indica ormai solamente psicoterapia.

Difendere la psicanalisi è una stupidaggine. Se già va stretto il termine psicanalisi, il termine difesa è proprio ciò che dalla psicanalisi non procede, perché ha la sua assoluta essenzialità nel rilancio.
E questo é solo il primo di numerosi punti del Manifesto che rendono necessaria per esso una considerevole risciacquata in Arno.
Sosterrò e farò parte di iniziative come comitati, confederazioni, movimenti, associazioni che si pongano come statuto il rilancio della dimensione intellettuale.
Se la risonanza di Convegni sarà internazionale, se tali incontri emaneranno il tono, il taglio intellettuale, anche chi lavora in ambito giuridico inizierà a cogliere qualcosa e si interrogherà sul fatto che i relatori provengano quasi tutti dall’esperienza di un dispositivo che Freud chiamò psicanalisi, ma che già dopo pochi decenni veniva chiamata Cosa Freudiana.
Ad oggi l’iniziativa è un Manifesto che il sottoscritto non firma per le troppe imprecisioni nella sua formulazione. Se un domani sorgerà questo Movimento, questa Confederazione, facendone parte la prima cosa che proporrò è la revisione del Manifesto se tal manifesto sarà base statutaria.

Denunce verso analisti ci saranno sempre, è una modalità di resistenza al transfert. Apporteranno sicuramente spiacevoli disagi, e la solidarietà dell’ipotetico Movimento potrà magari scriversi formando un’equipe di avvocati che dipaneranno con maggior scioltezza la causa in cui è incorso l’analista che si rivolgerà a loro, proprio per l’esperienza che si faranno occupandosi di simili cause.

Ostentare la difesa della psicanalisi rischia solamente di far accadere quello che vuole combattere, cioè la possibilità che si crei un albo degli psicanalisti, o che l’Albo degli Psicologi trovi maggior acredine nell’appoggiare chi in pieno transfert intenda denunciare il proprio analista per svariati e fantasiosi motivi.

Ed anche rispetto a tale eventualità, la strada da imboccare la indica chi appunto procedendo dalla dissidenza assoluta della Cosa Freudiana ha sentito la necessità di dirsi Scienziato della Parola, o Cifrematico, Stressmatico, ecc.

Per concludere una domanda, che potrebbe essere punto d’unione di varie Associazioni Psicanalitiche: rispetto al dire cosa sarebbe la psicanalisi, può dirsi tale un analista che non giunga a trovare molto scomodo continuare a dirsi psicanalista?
La parola non è strumento del soggetto con la quale sciogliere i sintomi, e l’analisi come scioglimento e provocazione al fare senza finalismi e rappresentazioni è virtù che procede dall’interlocuzione.
E quindi ecco il preambolo, il manifesto: come giungere a porsi come interlocutore?

Cosa faremo se un domani metteranno l’albo degli psicanalisti o legifereranno in modo che gli analisti debbano far parte di varie corporazioni? Semplicemente proporremo laboratori di interlocuzione, di inedizione, e l’analista si dirà interlocutore, ineditore.
Avrà poca audience mediatica?
Ma quella dell’analista è una vocazione, è una missione, e il nunzio non può che essere apostolico.
Così Gandhi ai missionari Cristiani che gli chiedevano come essere efficaci con la parola: “La vostra parola deve emanare il profumo delle vostre vite, e non l’aggressività delle istituzioni di cui fate parte”.

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