La regista Debra Granik è stata catturata dal romanzo e ha voluto farne un film.
Un bel film, dove passa la dedizione a voler evidenziare come vivono le popolazioni montane del Missouri. Dedizione e bellezza che si specificano in una colonna sonora essenziale, tipica di quelle zone, non invadente, non spettacolare, a lunghi tratti assente.
A Debra Granik piace portare l’attenzione sulle persone che proseguono anche con difficoltà che sembrano insormontabili.
Questa appunto la protagonista Ree, adolescente che si trova a dover crescere i fratellini, con la madre rifugiatasi nella pazzia come perdizione, ed il padre, al quale la segregazione del carcere ha fatto venire l’illuminata idea che fosse possibile trasgredire le leggi del clan facendola comunque franca.
Quello che emerge è la vita di questo clan, di questa tribù di stampo mafioso.
Il discorso che affiora è psicotico, di una psicosi senza più delirio. Tutto è diventato serio, occorre essere freddi, gelidi tanto come le ossa d’inverno, occorre essere spietati. Anche i bambini risentono di quest’aura assolutamente timorante.
Non c’è cura ambientale, non c’è cura architettonica, è tutto degrado, nessuna traccia di arte, di tradizione, di cultura, se si esclude il banjo che compare alla fine del film come segno di speranza.
Non c’è delirio e non c’è nevrosi, le persone sono individui del clan, non si tratteggia nessun personaggio, nessuna caricatura.
Non c’è speranza, non c’è entusiasmo.
L’unica speranza va oltre di loro. A differenza dei mafiosi siciliani, che i cadaveri li sciolgono negli acidi o li immergono in pilastri di cemento senza lasciare più traccia, loro il cadavere lo lasciano a pelo d’acqua, proprio perché possa essere scoperto.
Quel cadavere è la domanda e contemporaneamente l’impossibilità di una articolazione: “Com’è possibile che ci siamo ridotti così?”, e quindi l’innesco per un possibile racconto, perché la saga famigliare possa proseguire, invece che solidificarsi nel clan, nella sacra famiglia, che non può far altro che assumere produrre e propinare sostanza, droga.
Quel cadavere, quelle gelide ossa, sono una domanda di interlocuzione, foss’anche solamente sperando che uno sceriffo sia in grado di accoglierla.