L’ISTANTE, IL DISTANTE, L’ALTROVE

Se le cose sono nella Parola, se questo narcisismo originario non consente un dentro e un fuori, ecco che il tempo cronologico, contemplante un inizio e una fine, non può stare nella Parola, perché nella Parola può esservi solo simultaneità e quindi non è possibile togliere nulla all’infinito. Un infinito caotico ma non confusionario, ove le cose non possono fondersi in quanto singolari, e non possono neanche essere chiuse in un insieme.
Si è soliti pensare l’infinito come spazializzato invece che simultaneo, cioè una simultaneità che prosegue, non un saltuario sincronismo.
Il tutto ha a che fare con la parte, ma come dice Armando Verdiglione procede anch’esso dal pleonasmo, il pleonasmo è originario.
Procedendo nella Parola non è possibile chiudere il cerchio, non si torna mai al punto di partenza, il passato è un’invenzione, preso nel romanzo storico grazie all’operatività dello sguardo come idea, dell’idea dello sguardo, dell’idea dell’io.

Certo mettersi a controbattere presentando la morte come la cosa certa, è come essere certi che domani sorgerà il sole, è cercare qualche caposaldo, qualche punto di ancoraggio teorico rispetto ad una teorematica che inventa i propri assiomi, che non evita l’impossibilità dell’immortalità mental somatica, né garantisce rispetto al trovare il dispositivo come metodo sicuro e certo per dimorare nella Parola senza l’impasse, senza l’intervallo disagevole, volando come Icaro su delle euforiche ali invece che trovarsi entusiasticamente sospesi. (The Million Dollar Hotel)
La sospensione, la pausazione, il ritmo, ovvero l’itinerario è di scrittura, e per accogliere le virtù del labirinto occorre anche il filo, per cui sintassi e frase non possono essere in alternativa, entrambe procedono in direzione della scrittura delle cose.

L’epoca attuale, l’epoca euforica di Icaro che evita l’attraversamento del labirinto, è anche intendibile come epoca tecnologica, ove sembra si perpetui la Teogonia di Esiodo, passando dall’imperversare di Cronos, che fa il bello e il cattivo tempo, alla rivalsa di Zeus e dei figli, ovvero il proliferare dei prodotti tecnologici, dei quali gli umani diverrebbero schiavi.
E’ possibile demonizzare alla Heidegger la tecnologia?
Ove rintracciare invece l’impedimento al compimento della scrittura se non in quell’origine falloforica di Cronos, che evira il padre Urano, e dai quali genitali sarebbe nata poi l’afrodisiaca, per non dire euforica Afrodite?
La castrazione invece perché non è possibile scrivere le cose, le cose occorre si scrivano.
La Teogonia inizia con la terra Gea che non genera i figli concepiti con il cielo Urano perché brutti, ma la questione essenziale è che terra e cielo, che corpo e scena non fanno uno, non sono accoppiabili ma neanche isolabili, identificabili. Il corpo non sta sulla scena se dotato di fallo strappato in questo caso da Cronos, ma corpo e scena, il due originario.

Anche nella malattia del nostro tempo, nel cancro, è possibile registrare il due che si divide in due parti isolabili, in questo caso sequenziali e non più simultanee. E’ come se ad uno spostamento (metastasi) dovesse seguire una condensazione, come se al lavoro dovesse seguire il riposo invece che passare da un lavoro all’altro, come se la pausa e l’intervallo fossero spazializzabili e quindi cronologiche, come se l’imminenza e l’istante fossero percepibili. “Me lo sentivo che sarebbe accaduto” come manifestazione del discorso scaramantico.

Condensazione e spostamento, quindi il sogno.
Sogno e dimenticanza, quindi il racconto.
Non è importante risolvere il rebus, è importante che il rebus continui a scriversi, la trovata è nello scriversi. La soluzione giunge a sproposito grazie alla dimenticanza, il suo effetto è il riso, mentre il rebus prosegue a scriversi, a narrarsi.
Se il rebus non prosegue a scriversi intorno alle cose che si fanno, niente affari e niente interessi, solo pettegolezzi, circoli viziosi e affaccendamenti.
Se il rebus non prosegue a narrarsi niente racconto, solo l’edulcorato e perbenista specchietto per allodole dello storytellig.

La vita occorre sia ricca di sogno, non di pensiero.
Scaramanzia deriva da Chiromanzia, ovvero Cheiros = mano, da cui anche chirurgo e Manteia = divinazione, della stessa radice di mania e mente.
Chi pensa non è chi sogna, chi abita l’intervallo e la sospensione, ma chi emula Dio per prevedere come andranno le cose, per padroneggiarle, con le conseguenti manie persecutorie, la maniacalità perfezionista, la pressante smania su chi sta accanto, che un pò come gli antichi può anche immaginarlo savio (in sanscrito Mantu = savio).
Chi pensa, chi pesa, chi misura, dalla radice indogermanica Man, Main, che in tedesco vuol dire anche mio, ribadisce l’intendimento di padroneggiamento, lo spirito di padroneggiamento. Ecco perché costoro, alla Adolf Hitler, erano spiritati, ispirati da furore divino.

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