L’equivoco tango

 

26 Maggio 2006 – Intervento prima della Milonga della Maison Music, Rivoli (TO)

 

Con amici, qualche anno fa, in una invernale sera domenicale, si decise per un locale il cui nome aveva iniziato a circolare. Un locale compreso in un grande spazio chiamato Docks, ove un tempo c’erano fabbriche e magazzini, ora pub e discoteche.

Si voleva bere e ballare musica pop-rock-disco, ma sorprendentemente si trovò un locale abbigliato e musicato come si confà per una serata dedicata al tango, dove tangheros avevano iniziato a circolare in pista da qualche ora.

Una bella sorpresa perché da quel ballo e da quell’ambiente fummo subito incuriositi.

 

 

Questo preambolo per dire degli equivoci che s’incontrano indagando nel fenomeno tango.

 

Tango che non è il tango delle balere piemontesi, non fa parte del “ballo liscio”, ma è il tango argentino, che molto si sta diffondendo in Torino, tanto che anche nelle sere agostane è possibile trovare piazze e punti verdi ove cimentarsi o ammirare coppie impegnate a ballare.

Tango argentino le cui origini si ritrovano in un ambiente che non è l’Argentina intera, ma territori facenti parte anche dell’Uruguay, sviluppatisi intorno al Rio della Plata, per la precisione all’estuario dei fiumi Paranà e Uruguay, tanto che andrebbe chiamato tango Rioplatanense.

Territorio alquanto multietnico, dove verso fine ottocento si incrociavano tra gli altri popoli immigrati, indigeni locali, africani liberati dalla schiavitù, gauchos decaduti che si rivolgevano ai centri urbani in formazione per trovare lavoro.

Quei primi tanghi, che presero piede a Buenos Aires e Montevideo, erano milonghe simili a quelle che ancor oggi si ballano nelle serate chiamate quindi Milonghe. Milonghe che risentivano molto del Candombe, dell’Habanera, musiche e ritmi tipicamente africani.

Musiche allegre con richiami di Samba, Jazz, Rumba, molto lontane da quelle melodie che hanno portato a definire il Tango “un sentimento triste che si balla”.

Tal definizione s’inizia a ritagliare sulle musiche composte e sui testi prodotti dagli immigrati italiani, che volevano della nostalgia per la famiglia, la Patria e la Matria abbandonata, della nostalgia per la donna quando si trovavano a lavorare lontano da casa, magari nei cantieri ferroviari, della nostalgia per la libertà quando finivano in prigione.

Anche l’etimo è variegato, e può condurre al luogo di riunione degli schiavi africani, ad uno strumento musicale di origine africana, al sole, a tang che nelle lingue parlate africane significa “palpare, toccarsi”, allo spagnolo tangir “suonare e tangere”, “toccare” in latino.

Variegato anche il Lunfardo, gergo formatosi in questo crogiolo di lingue, che si arricchisce del Cocoliche, cioè la pronuncia, l’accento creativo marcato e grottesco dell’italiano che si esprime in spagnolo ma che non è l’itagnolo, provvisorio e personale come la mezzalingua dei bambini (quella che Lacan chiamava l’Alingua), che rifiuta ogni codificazione.

Lunfardo che fa uso del Vesre, cioè l’italiano Vesciorro o il francese Verlan, caratterizzato dalla metatesi, ovvero l’alterare l’ordine delle sillabe di una parola.

Questa sgrammaticatezza ricorda molto l’Hiddish e la persecuzione degli ebrei che ne facevano uso, e forse non a caso durante i periodi del “decennio infame” argentino, cominciato con il golpe militare del generale Uriburu, la prima proibizione, che nulla a che vedere con quella del tango proibito anticlericale, colpisce il lunfardo e i suoi termini gergali, le frasi dette al rovescio, le rime.

I primi balli di coppia del tango erano tra uomini, che nei luoghi di lavoro si esercitavano per poi mostrare la bravura esibendosi e tentando indirettamente di conquistare la donna. Anche quando la donna diverrà ballerina, per il creolo principale è sempre l’esibizione, l’esercizio per il ballar bene, per restituire testimonianza d’eleganza e sensualità, ammirabili nei vari festival in Europa molto in voga.

Solo quando il tango approda alle balere, alle sale da ballo, capita che si converta in pretesto per finalità amorosa di coppia.

Talvolta seguendo le melodie lente, dissociandole dai testi malinconici, ricordando quei lenti che si ballavano quando si era ragazzini e che consentivano l’abbraccio dei corpi, quelle musiche che un amico definiva “adatte per il momento strappa mutande”.

 

Quando con il partner si trova l’intesa, il ballo sembra andare all’unisono, questa coppia sembra momentaneamente fare uno.

Ma il tango presenta anche l’Altra sessualità, la sessualità tout-court.

Perché un’attività di coppia dovrebbe cantare, ballare un sentimento triste per una mancanza di una donna che è lì in quel momento?

Perché la mancanza è dello stupore per il fatto di non intendersi essendo in due, ritrovarsi soli pensando di essere una coppia, ritrovarsi soli in questa relazione impossibile garantita dall’odio, in questa simultaneità di condensazione e spostamento, di sincronia e diacronia, ritrovarsi a ballare in una pista che assume una torsione e consente di circolare non più in cerchio ma in una spirale.

Tutto ciò il tango lo forza, lo richiama con i ballerini attenti a superare l’equivoco di un passo mal interpretato, muovendosi su una pista che vuol essere arena e teatro, con un ballo fatto di schermaglie, di finte e controfinte, di ganci, di fughe, di avvicinamenti e provvisorie conquiste, evocanti una relazione amorosa tinta di sensualità che non da pace, che, come un ipotetico orgasmo, trova il godimento come sorpresa sperimentando l’impossibilità dell’uno platonico.

 

Così l’analisi, così l’analisi sulla traccia della verità, cercando di dire le cose e sperimentando che le cose non ci appartengono, sono indicibili in quanto tali. L’unica verità possibile, l’unico intendimento possibile è nell’equivoco, nel lapsus, nella simultaneità, in un’esperienza di parola, in una clinica che non è del soggetto ma della Parola, che s’incontra parlando, ritmata e precisata dal taglio del significante, destabilizzante dunque l’ontologizzato soggetto, pensato fuori dalla Parola e della parola padrone, che usa la parola come fosse sostanza.

 

 

Per chiudere ecco una storia fantastica, equivoca, sorprendente, del più famoso cantore di tanghi, Carlos Gardel.

 

Carlos Gardel morì nel 1935 in un banale incidente aereo a Medellín (Colombia). Nell’assegnazione del suo cospicuo lascito patrimoniale si scoprì che lui ne aveva compilato uno olografico a favore della madre Berthes Gardes.

Perché mai se Berthes fosse stata la sua madre naturale? E così la decisione di qualche anno prima, convinto dal consulente artistico, nonché rappresentante legale ed amico fidato Armando Defino, di cambiare la finale del suo cognome da “s” in “l”, non era per precisare in futuro che Berthes non fosse la madre naturale?

In aggiunta il tutto fatto in Argentina, perché in Uruguay la legge non riconosce testamenti olografici.

Si scoprì che Berthes Gardes, francese di Tolosa, si trasferì a Buenos Aires con il figlio Charles dopo due anni passati a Tacuarembò (Uruguay), dove oltre che lavorare nella fattoria del colonnello Escayola, ebbe con lui anche una relazione sentimentale.

Quando Berthes arrivò in Argentina Charles aveva due anni, e non si seppe mai se il colonnello fosse il padre.

Il colonnello era però padre di Carlos, di due anni più vecchio, avuto con la cognata in una relazione clandestina. (Curioso l’aneddoto che vede il colonnello Escayola sposare tutte e tre le figlie del console italiano Giovanni Battista Oliva e l’argentina Juana Sghirla, e di tutte e tre rimanerne vedovo…proprio storie sudamericane…).

Carlos era quindi scomodo, e cresceva in modo brado e anonimo con le donne di servizio della fattoria, così che il colonnello venne ad offrire una lauta somma a Berthes Gardes perché prendesse con se il piccolo Carlos.

Berthes Gardes fu solamente madre putativa di Carlos Gardel, e nel 1936, ormai tornata a Tolosa, per chiarire quanti fossero i Carlos o Charles, si vide costretta a spedire a Buenos Aires i certificati di nascita e morte di Charles, nel frattempo deceduto combattendo per la Francia durante la prima guerra mondiale.

E pensare che Carlos Gardel venne chiamato per anni “El Francesito”.

 

 

….Ancora un’equivoca postilla rilevata intorno a quello che possiamo ora intendere significante Tango.

 

Si parlava prima di Vesre.

Si sta sviluppando il Tango Nuevo, cioè Tango contaminato da nuove musiche elettroniche, ed il complesso maggiormente noto si chiama Gotan Project.

Non pensando che fosse scritto “go-tan / tan-go”, veniva immaginato da chi vi parla Gotham, ovvero la New York di Batman.

Ma anche così, in quanto Batman uomo-pipistrello, un’altra bella ambiguità.

E allora Go Tan Go, non più “vai col liscio” ma “vai con l’equivoco”.

 

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