La sessualità nella parola

 

Convegno Il corpo nella parola – Torino 8 Aprile 2006, Centro culturale Il Nunzio

 

“Le storie non si limitano a staccarsi dal narratore, lo formano anche”
João Guimãres Rosa – Grande Sertão.

Centocinquant’anni dunque dalla nascita di Freud, da quando nasceva chi inventò la psicanalisi.
Cosa inventò cerchiamo di dirlo ancora oggi, centovent’anni dopo l’elaborazione, la scoperta, la messa in atto di un dispositivo di parola basato sulle associazioni libere.
Sulle tracce di Freud intendiamo oggi la psicanalisi come dispositivo intellettuale, come percorso che va dalla quantità alla qualità.
Passare dal testo alla testimonianza.
Passare dalla scrittura alla lettura, alla dislettura, che non si ferma e non si appaga di nessun genere di interpretazione, così da divenire nuovamente scrittura, come insegna l’incessante interpretazione talmudica della Torah.
Vi è un testo di Freud?
Nei suoi scritti, mai privi di elaborazione teorica, che si fanno leggere come novelle (pensare che da qualcuno è stato denigrato per questo), c’è la testimonianza di Freud.
Come a dire che il discorso scientifico, fondamento per Freud del procedere della psicanalisi, per rilasciare efficacia non può andare senza quello artistico, senza quello narrativo.
Freud considerava L’interpretazione dei Sogni una delle sue opere più riuscite, ne era molto soddisfatto, e pensava si sarebbe continuato a sentirne l’importanza anche negli anni a seguire.
Parlare del sogno è parlare dell’insostanziale per eccellenza.
La via regia dell’Inconscio inizia a proporre apertura ed invenzione a partire dal racconto. Essendo raccontato, un sogno perde anche il ricordo iniziale.
Così Freud nella lezione 5 dell’Introduzione alla Psicanalisi, quasi per caso: “Allo svantaggio dell’incertezza nel ricordare i sogni si può rimediare: basta stabilire che come sogno debba valere precisamente ciò che il sognatore racconta, a prescindere da tutto ciò che egli può aver dimenticato o modificato nel ricordo”.
L’approdo è il viaggio, ove s’incontra la soddisfazione propria dell’itinerario intellettuale, che accoglie ed integra l’Altro, l’Inconscio.
Un Inconscio dunque non ontologizzato, ma in atto.
Un racconto non di qualche ricordo, ma un racconto in atto, decontestualizzato come quello di un sogno. Un racconto catacretico nel quale le metafore non hanno un oggetto, ma sono abusate e ritrovano il proprio abuso, il malinteso cogliendolo nella memoria.
Un Inconscio sempre in costruzione che consente di giungere alla struttura significante, ad un effetto di senso e controsenso, al deittico materno, alla madre come indice del malinteso, come traccia di direzione.
Il procedere è per integrazione, per giungere ad un parlare, ad uno scrivere, ad un fare leggeri, dove le cose non si quantificano e non sono quantificabili, ma si qualificano.
Necessario il procedere sulla traccia del significante: ogni significante integra un altro significante.
L’intendimento è sul versante del lapsus, dell’atto mancato, dell’enigma che si rivela ma che non si svela: ci s’intende sul malinteso, ci s’interroga sull’equivoco.
Ci s’intende sulla politica del tempo che non passa e non scorre, ma che apre, taglia, sessua, che rende impossibile la relazione.
Lì la differenza sessuale, la differenza significante.
Giochiamoci dunque questi significanti….
Sessualità allora!
Freud pansessualista, maniaco sessuale perché riferisce tutto alle esperienze sessuali infantili?
Andrebbe riletto per cogliere come la teoria fosse per lui sempre in costruzione, mai una volta per tutte. Nella biografia di Jones, lui stesso dice che nella sua vita non ha fatto altro che iniziare cose ed emettere ipotesi.
Andrebbe riletto nelle pagine in cui parla della sessualità come teoria sessuale, vita sessuale, organizzazione sessuale, dove è costretto ad allargare questo concetto, a chiamarlo libido per differenziarlo dal sesso troppo spesso riferito ai genitali, ridotto alla mera unione di corpi, riservato ormai solamente all’atto riproduttivo, o sesso inteso come perversione erotica scongiurante quindi l’atto riproduttivo.
Andrebbe riletto dove dice che questa libido può comunque indirizzarsi e specificarsi, sublimandosi come nel caso degli artisti, cioè chi riesce a raccontare il mondo e la realtà come fosse un sogno, quindi impersonale, e trovarne un senso solo dopo il racconto.
Parlando della castrazione, Freud si accorge della fobia del bambino di essere evirato dal padre, la fobia di perdere il pene perché vede che la bambina non c’è l’ha.
Il racconto dell’analizzante (bambino o adulto che sia), o l’interpretazione di Freud, fa immaginare questa stereotipata corporale castrazione come realmente riferibile ed attuabile.
Come mai proprio su quel pezzetto di carne?
Le fasi freudiane dello sviluppo sessuale (della libido) del bambino vanno dalla fase orale a quella sadico anale e giungono al primato dei genitali (precedenti il periodo di latenza), dove lo sviluppo è pressoché simile a quello che si rivelerà nell’adulto.
Freud nota però una differenza che lo induce ad ipotizzare in questo periodo la fase fallica, dove cioè il primato dei genitali (in quanto il piacere d’organo era presente anche precedentemente) è da intendersi sull’attenzione per entrambi i sessi sul pene.
Nello scritto del 1923 L’organizzazione genitale infantile, dice che non si può intendere il complesso di castrazione se non come conseguenza di questo primato fallico. Primato fallico perché desta l’attenzione sulla mancanza, sulla possibile mancanza e quindi sulla differenza.
I termini usati da Freud sono gli stessi che Lacan riprenderà per descrivere il fallo (inserito tra gli oggetti causa di desiderio) come il significante della mancanza.
Significante illusorio in quanto l’illusione di poterlo detenere non rende necessario il rivolgersi alla Parola.
Possiamo però sperimentare, e Freud già lo annotava, già si accorgeva, qua e la, tra una topica e l’altra, tra un’opera di metapsicologia ed una ricerca storica, tra i suoi scritti e suoi carteggi, tra gli studi sull’isteria e quelli sul sogno, che il racconto di quelle fantasie, non importa se corrispondenti o no a verità, portava in tempi differenti per ciascuno se non alla scomparsa, alla mutazione della fobia e del sintomo.
Per procedere dunque, perché il sintomo si sciolga e si sposti, necessita il racconto, l’invenzione di fantasie, di storie.
E’ possibile anche un’efficacia, un sollievo del corpo ontologico, biologico, medico, se la parola lievita, se c’è innesco narrativo.
Stesso discorso per il rapporto sessuale tra coppie.
Può esserci soddisfacimento nel rapporto sessuale solamente se vi è sessualità nella parola che intercorre tra i due, non rapporto ma relazione, quindi qualcosa impossibile a catturarsi, a fissarsi.
Occorre che tra i due vi sia una relazione di parola, un racconto senza che ciascuno rappresenti l’altro, che l’odio proveniente dalla mancanza del partner si pieghi verso il racconto, verso la lingua diplomatica che si accorda sull’equivoco, sul riso, sul ritmo, sulla musicalità e quindi sulla sessualità intesa come rilascio. Viceversa la lingua dei litiganti che cerca l’accordo sul detto, sul fatto, sul senso e quindi sulla colpa per giustificare una sessualità che non ritrova, che non interviene perché non ci si relaziona ma ci si rapporta.
La relazione è del significante. Relazione impossibile perché ad un significante segue sempre un’altro significante. Un significante funziona come nome solamente nella rimozione.
Impossibile relazionarsi se entrambi non ci sanno fare nell’articolazione di questa mancanza. Difficile relazionarsi se uno dei due non è desiderante, perché non sosterrà che il simile sia desiderante, sia altrove, e tenderà a chiuderlo per assumerlo come un farmaco, quasi potesse garantire una sorta di trasmissione di desiderio tramite l’unione di coppia.
Se consideriamo il corpo come qualcosa d’insituabile nella Parola possiamo immaginare una sessualità che si sostenga tra corpi materiali, tra unioni carnali?
Il transfert è di parola. L’innamoramento da transfert è riferito alla parola che intercorre nella conversazione analitica. Se fosse dovuto all’analista non si potrebbe parlare di sessualità ma di amore verso chi ha la soluzione dei problemi, ha il sapere e quindi nessuna necessità di articolare il sintomo, il disagio.
L’analista indispone perché tenta di occupare la parte del sembiante, di ciò che è irrappresentabile, ma che provoca ed evoca, attiene cioè alla voce.
A chi appartiene la voce quando parlo, da dove proviene?
Il corpo ontologico attiene al visibile, il corpo nella Parola, la sessualità necessitano della voce.
Qualcuno oggi ci parlerà del profumo.
Il profumo che evoca, che distrae dal visibile del corpo, e così come la cosmesi e l’abbigliamento provoca l’interrogativo, che nel tentativo di dirsi dispone verso il racconto di qualcos’altro….verso il Racconto.

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