Leggendo l’Antigone di Sofocle tanti sono i sentieri di elaborazione che dipartono…in primo piano l’isteria.
Come preambolo le reazioni al dispositivo dell’analisi e quindi innanzitutto la questione dell’appuntamento…non si può parlare quando si vuole con l’analista, quindi già una frustrazione per il soggetto, e quindi la prima donna arriva in ritardo, decide lei quando vuole parlare, o comunque non può deciderlo l’altro (l’analista occorre riesca a non dare suggerimenti, anche su cose palesemente evidenti, farebbe inevitabilmente il contrario, o comunque non lo farebbe).
Il desiderio di fare quello che si sente al momento e quindi non prendere appuntamenti…ma quello non è il sentire come ascolto, è la volontà del soggetto padrone e controllore, anche se molto celato (“Io non so che tu sai che io so” la formulazione verdiglioniana del discorso isterico), mascherato in desiderio…è vivere il tempo presente, il qui e ora, non il gerundio.
Di fronte alla breccia di un lapsus, di un atto mancato, delira e spesso sembra delirio erotico, per cui Freud dice che soffre di reminiscenze, collegandosi al desiderio inconscio dei sogni, che sembra dire di cosa si vorrebbe o si vorrebbe aver fatto in tale circostanza, qualche istante prima…vive il tempo passato e dice quello che avrebbe voluto fare…e qua qualcosa di simile palesavano anche le streghe, quindi intese come sataniche erotiche, che possono fare sesso con il diavolo.
Si potrebbe dire che induca all’interpretazione, induca alla deduzione, e quindi comunque che il gioco lo conduca lei.
L’esempio del tacchino induttivista, che procede in maniera sincronica di sentenze in sentenze, richiama Antigone, che fin da subito si presenta come già morta, come se non potesse non puntare alla morte.
Qua tirata in ballo, come già rilevato da Lacan sempre nella lettura dell’Antigone Sofoclea, c’è l’abreazione freudiana, la catarsi della tragedia greca coinvolgente anche il pubblico.
L’oltraggio di Creonte a Polinice è a suo modo un andare sadicamente oltre la morte.
Così Antigone morta vivente nella tomba, tra la vita e la morte, con il Coro che trova “la bambina bellissima”… oggi siamo tumulati in casa.
Io non so che tu sai e quindi ti contesto, contesto il tuo sapere.
Io non so farci perché ci sai fare tu, in quanto io non so di sapere, voglio senza sapere di volere…e quindi “Cosa vuole una donna?” riguarda in primis “la donna”, è la domanda incarnata dal discorso isterico.
Si da un appuntamento perché gli investimenti come fantasie ideali falliscano e quindi l’appuntamento in quanto tale fallisca, perda il primato fallico della volontà (cosa dirò? Dirò così! Dirò questo!), e la conversazione ha un termine perché possa non terminare alzandosi dal divano.
La conversazione occorre prenda tono, intensità, corpo, sembianza.
Con questo Virus si assiste alla sparizione del cadavere, e quindi anche del volto. Il volto di chi? Del vivo o del morto?
Quante volte il commento dopo la visione del volto del cadavere: “Era bello!”
Così Banchisio Bandinu in La Maschera, la Donna, lo Specchio: “C’è una pausa perturbante in cui il moribondo così famigliare sta per diventare altro: si ortat a mascara, si trasforma in maschera. Corpo caro e soma estraneo: su corpus s’assomat, il corpo si fa soma, peso senza vita. Avviene qualcosa di estraniante per cui il volto comincia ad assomigliare a se stesso….il volto del defunto est a visera, si è irrigidito in maschera, fissazione che rischia da un momento all’altro la rianimazione. Perciò il morto non deve essere lasciato solo nella stanza per troppo tempo: vive l’ambivalenza della stasi e del risveglio. Qualcuno deve vigilare il defunto ma anche il guardiano, su tentatore…e comunque non deve fissare il defunto: se incontra il suo sguardo subisce uno spavento sacro che inverte il corso del sangue. L’incantamento della maschera procura smarrimento e follia. Maschera del defunto come specchio straniante. Il morto è la sembianza più vera del proprio destino: è il testo dell’esistenza, scrittura di un’esperienza. La smorfia del defunto condensa tutte le connessioni del tempo vissuto, ma nello stesso tempo è cifra di ciò che è rimasto nascosto, la parte in absentia della vita. Il detto popolare dice che la maschera del morto è la cristallizzazione dell’ombra che per l’intera vita ha fatto da controcampo al corpo…”.
L’analisi perché la parola pregna di significati, di luoghi comuni, che dice le cose uguali a se stesse, che quindi si ripetono e possono essere dette, non somatizzi ma giunga a maschera per consentire al suono la rinascita del significante…dal padre al figlio, dallo zero all’uno, dal nome al significante, procedure della simultaneità, del due, non ordinalità di un prima e di un dopo, di un inizio e di una fine…il significante se pur simultaneo al nome non può che rinascere.
L’isteria passa da una somatizzazione all’altra, da una malattia impossibile all’altra evitando il sintomatico.
Il sintomatico, il sintomo, l’angoscia, l’attacco di panico, la depressione è già chance in quanto debordamento straniante, pleonastico.
L’ascolto, quando la scrittura giunge al suo colmo, la lettura di ciò che è rimasto nascosto, del non detto, di ciò che è rimasto da dire…la lettura, il significante, ciò che prosegue a scriversi…impossibile la decifrazione ma di cifratura in cifratura… la vita che si scrive.
La cifra non è un alloro, non ci si può cullare su di essa.
Ai tempi del Corona virus anche il palesarsi con maggior evidenza della condizione della Nazione Italia, che farsescamente tenta di rimanere nella commedia per non giungere alla tragedia.
I Fratelli d’Italia, ormai costantemente in opposizioni cruente e insensate, fanno presagire la fine di Polinice ed Eteocle…accecati dall’invidia purché non prevalga uno meglio affondare, perire, fallire tutti.
E Antigone indica che sotteso c’è ancor prima il discorso dell’uguaglianza, che trova la sua summa, il suo emblema nell’uguaglianza mortifera dei fratelli, alla quale lei non può, non riesce a sottrarsi.
Quindi il discorso mortifero dei Fratelli d’Italia, sempre intenti a perseguire la salvezza, ancor pregni di decenni di cattocomunismo, sempre solerti ogni 25 Aprile a celebrare “la libertà da” invece che promuovere la libertà che procedere dal fare, dal gerundio, sembrano aver trovato il laccio che li strangolerà tutti, allo stesso modo, non più il maschilista Creonte (per il quale il figlio deve essere docile ed avere come pilastro interiore il pensiero, il volere del padre, per il quale meglio crollare sotto il pugno maschio che sentirsi dire che s’arrende a donne) ma bensì il laccio della burocrazia…ovviamente rosa in omaggio alle quote rosa.