Eroe ed eroina

 

Eroina: sostanza altrimenti detta Diacetilmorfina, derivato della morfina e quindi dell’oppio.

Usata e commercializzata come sedativo della tosse nel 1899. Come per tutti i farmaci s’ipotizza che la sua efficacia dipenda appunto molto dal nome datogli dalla Bayer.

Gli anni che seguirono furono anni di grandi guerre combattute per la Madre Patria.

L’uso dell’eroina imperversò con la modalità dell’assunzione in vena.

Tutti i farmaci sono maggiormente efficaci se assunti per via endovenosa, ma qua in primo piano c’è appunto la lotta, la guerra per la Madre Patria, la questione del sangue dello stesso sangue, e quindi la relazione, l’assunzione dell’eroina deve essere diretta, senza traversie e mediazioni.

Per superare le crisi di astinenza che s’incontrano nel tentativo di smettere dovrebbero bastare settantadue ore. Eppure sembra tutto molto più lungo e difficile.

Allora il discorso che sarebbe cristallizzato nella molecola, nel nome eroina, è quello dell’influenza. Come può un nome essere così influente? Chi si fa influenzare e chi influenza?

La questione del destinatario e del destinatore, della causa e dell’effetto, del soggetto e dell’oggetto.

Influenza come contagio diretto per evitare la fluenza dell’oggetto non ontologico, del sembiante come causa, della simultaneità di destinatario e destinatore.

Il dispositivo dell’analisi, il dispositivo di scioglimento rispetto al discorso dicotomico. Analista e analizzante associati in una conversazione senza transitività, senza reciprocità, senza possibilità di rapporto né di fusione. Qualcuno l’ha chiamata conversazione a tre.

Condizione per l’amore autentico che non va senza odio.

Il transfert, l’amore da transfert, l’odio da transfert, la fluenza.

Il pagamento non per avere un sapere, per avere la dose, ma una scommessa che quella fluenza innescata è rispetto all’avvenire, è già avvenire che comincia a scriversi.

Nel discorso del drogato c’è qualcosa del discorso psicotico, se lo s’intende come parodia rispetto all’ipotesi che un forte effetto derivi da una forte causa.

L’eroina e l’eroe intesi come varianti dell’isteria, apoteosi dell’isteria che vuole farsi un nome. Il nome viene assunto, il nome assume la parte dell’eroe, e quindi sempre deve morire.

E’ possibile uccidere un padre, uccidere un nome?

Perché fare a meno della rimozione?

Se la memoria è la fabbrica dei ricordi, eliminando la memoria l’intento è di eliminare l’imperversare del godimentoso ricordo.

E’ come se l’intento non fosse il parricidio ma il matricidio.

Invece fondamentale il parricidio, ovvero l’eroe così come la madre devono passare nel mito.

La madre, ovvero la traccia di qualcosa di materiale. La materialità della parola non può che essere nella sagacità del racconto, dove si narra, si scrive, si traccia l’impresa.

La morte, ovvero la madre genealogica, la madre causale, la madre fuori dal mito.

Se la madre è fuori dal mito ecco il figlio eroe che salva o che si salva, ecco l’infanticidio, ecco il figlio che muore sotto i colpi di mamma.

Perché il parricidio?

Perché non è possibile demandare, non è possibile il gioco dei ruoli assistenzialistico amicale empatico di tutto l’apparato degli psicopompi, dei traghettatori di anime.

Nessuna possibilità di empatia, di trasmissione, di comunicazione se si punta alla riuscita.

Le cose occorre che accadano, che s’incontrino, che appartengano all’ordine delle trovate, delle invenzioni.

Nessuna invenzione quando vi è soggetto, soggetto al discorso dicotomico, al discorso di causa effetto, al discorso del trauma originario. Un soggetto che non riesce ad astenersi dal cibarsi del corpo morto, che non riesce ad astenersi dal dovere scegliere e dal dover decidere, e quindi impazzisce. Nessun bagliore di provvidenza, di provvidenziali trovate.

A ciascuno il compito di accogliere il Figlio nella sua erranza, procedendo dall’errore, dalla verità come apertura di un enigma che non si risolve, dal riso di un impossibile intendimento elitario sulle cose.

Il parricidio, ovvero non è possibile dire cosa sia un padre, cosa sia un nome, cosa sia una cosa.

La domanda che deve rimanere aperta è domanda d’impresa. Lì la fortezza, lì la virilità, la virtus che non necessità più d’eroi od eroine, di cocaina come droga delle generazioni che vivono sotto l’egida dello standard, della generazioni della Coca Cola.

 

18 Gennaio 2013

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