Freud, Marx, Economia e simbolico

 

Introduzione al gruppo di studio

Giunsi mesi fa ad incontrare il testo di Jean Joseph Goux Freud, Marx, Economia e simbolico, lessi l’introduzione ed il primo capitolo e fui entusiasta tante erano le suggestioni e le strade che dipartivano. Seguì l’idea che fosse libro adatto per cominciare un gruppo di studio su temi, termini, nomi e significanti come appunto economia, denaro, merce, capitale, Marx, Marxismo, Freud, dati troppo spesso per scontati e sui quali sembra facile intendersi.
Erano giorni in cui si assisteva all’evolversi di questa improvvisa crisi, che scoppiata come finanziaria non poteva che divenire anche economica. Da una finanza come giocattolo di carta prodotto da debiti su debiti, da assicurazioni sui debiti, da invenzioni virtualistiche di salvataggio, dal casinò borsistico, iniziava a scorgersi il problema della recessione economica, della depressione produttiva, della disoccupazione, di un pericolo per l’intero sistema consumistico.
In Associazione si decise che il tema per il prossimo Convegno sarebbe stato lo svisceramento e l’elaborazione della parola Crisi.
Tutti questi avvenimenti hanno condotto ad intitolare il Gruppo di Studio Interroghiamo la crisi, e a partire quindi dalla lettura del libro di Goux.

Un’analisi succinta e stringata di questa crisi porta in evidenza investimenti demandati a presunti esperti finanziari, molto bravi a proseguire l’onda di ingordigia, fagocitamento, cupidigia, godimento nel fare i soldi e soprattutto euforia. E l’euforia non può che annunciare una prossima disforia.
Espedienti raffazzonati (come stampare più soldi, spostare il riferimento
dall’oro al dollaro, passare debiti da una banca all’altra) usati in questi decenni per nascondere un crollo che sembrava inevitabile sembrano oggi giunti al limite.
Crisi simile era incorsa anche nel 1929, e sono in molti a dire che si sia risolta grazie alla seconda guerra mondiale. Oggi questa soluzione non sembra più possibile, e cosa accadrà è un interrogativo.

Chi è in crisi? A chi appartiene la crisi? Ai disoccupati, a chi non ha da mangiare?
Forse questa crisi sarà l’occasione di solidarietà verso il prossimo, colui che sta accanto, invece di preoccuparsi dei mali del mondo, delle offerte, delle adozioni a distanza.
Si respira entusiasmo nei broker, euforici di fare soldi a palate, impegnati a spenderli tra una vacanza e uno yacht, tra una tirata di coca ed una prostituta? La loro parola è creativa e sembiantica, coinvolgente e provocatoria? Procede dal punto vuoto o è vuota perché procede dal pieno?
Può esserci lavoro che non sia intellettuale? Può esserci ginnastica, esercizio, esperienza che non sia intellettuale?
I termini della crisi economico – finanziaria – capitalistica sono gli stessi che si incontrano articolando le crisi dell’individuo, le più note crisi esistenziali.
Questa l’unica crisi inevitabile, e da questa crisi l’occasione di giungere a formulare la domanda: come trasformare l’euforia in entusiasmo? Come incontrare l’entusiasmo invece che cadere nell’euforia?
Entusiasmo come condizione di armonia con l’Altro, riverbero dei dispositivi intellettuali, dove la relazione è con l’oggetto nella Parola, con il sembiante, con la sessualità, non padroneggiabile, precaria, provocatoria, fuori tempo e fuori luogo.
L’entusiasmo non è del soggetto, non è legato all’utile, al risultato, alla quantità, ma è il colore del compimento, della qualificazione della scrittura. Procede dall’accogliere la vita come poesia, dove le decisioni sono dell’Altro e non sloganeggiare “Yes we can, yes we want”.
L’entusiasmo e la leggerezza, la semplicità che procede dalla difficoltà, dal lavoro, dal confronto con l’oggetto sembiantico che non contempla le facili scorciatoie, le facilonerie, le furbizie, che delude chi elude.
Forse questa crisi porterà i disoccupati ad accorgersi dell’occasione di tralasciare il perseguimento di bisogni socialmente condivisi, per occuparsi dell’occorrenza, perché la loro parola viri verso l’imprenditoria, il fantastico, il creativo.
La pulsione intellettuale, ovvero non cedo, proseguo a dire, ad articolare, mi sostengo di lapsus e malintesi, il colore della vita è l’ironia.

Viviamo nell’era mediatica e la parola crisi, così come la parola marxismo, giungono come mediatiche parole vuote. Ci sono Paesi centro – sud americani che vivono da decenni perennemente in crisi economica senza allarmismi o tragedie, che mettono in scacco il discorso mediatico in cui siamo immersi, anche rispetto alla crisi prontissimo alla gonfiatura.
Questo gruppo di studio per chi non accetta il discorso della media, del compromesso condiviso, condivisibile, visibile, televisibile da tutti, ma intende l’appuntamento come compromesso per l’atto di parola, per il compimento di ciascuno nella scrittura. Occorre indagare su parole come economia e capitale, senza dare nulla per scontato, perché lo sconto non è scindibile né taglia fuori la trattativa e la trattazione.
Gli ebrei non affrontano lo studio della Torah da soli. L’intendimento di questo gruppo di studio non è per esorcizzare la scoperta di qualcosa di cabalistico, soteriologico, ma come sussidio per la difficoltà e l’apertura dei testi che andremo ad incontrare, per non rinunciare di fronte a confusioni e a punte d’angoscia, inevitabili quando di un processo se ne fa un’elaborazione e non una presentazione di fatti.
Indagheremo perché la domanda insorga e risorga, come viatico per il lavoro intellettuale, lavoro d’accostamento e di piega.

 

Perché pagare la seduta?

“ La metafora monetaria che frequenta il discorso sul linguaggio, non per colpi di forza poetici accidentali, ma con una notevole coerenza nel luogo delle sostituzioni, tradirebbe una coscienza ancora involuta, germinale della corrispondenza tra il modo di scambio economico e il modo di scambio significante……Il termine che rappresenta un concetto e la singola moneta che rappresenta il valore sono entrambi, al termine del processo dialettico comparabile, equivalenti universali….questa analisi indica palesemente la parentela fra questo processo e la genesi dell’illusione idealistica, particolarmente sotto la sua forma inaugurale platonica, con la separazione introdotta tra un mondo sensibile e un modo intelligibile, tra la terra e il cielo…..L’idealismo è già in germe nello scambio più semplice e trova il suo primo culmine quando il processo di simbolizzazione raggiunge la forma dell’equivalente generale…..Questa illusione giunge storicamente al suo culmine quando un soggetto è costituito dal momento equivalente generale del processo di simbolizzazione. Questo soggetto potrà essere soggetto all’ideologia o soggetto alla nevrosi….Come le differenze particolari che esistono nella merce sono cancellate dalla circolazione monetaria e dal valore economico, così il concetto mantiene solo quanto c’è di comune nelle diverse rappresentazioni, cancellando le differenze tra le immagini singolari. Anch’esso come essenza della cosa, diventa una qualità fisica staccata….Così la critica del concetto come la critica della moneta saranno prese tra la faccia positiva e quella negativa dello stesso movimento. Sotto la faccia positiva il denaro e il concetto universalizzano con pericolo di speculazione, sotto quella negativa banalizzano. In un caso il valore o il senso della circolazione mettono in rilievo le somiglianze, nell’altro cancellano le differenze. “ [pag. 131-32-33].

Pagine straordinariamente ricche.
La nevrosi dunque parrebbe inevitabile, come quindi renderla una risorsa?
Il viaggio intellettuale trova il vento, il soffio, l’animazione per veleggiare sulle ali del significante.
La logica dello scambio e la logica della sostituzione non possono andare senza quella d’integrazione.
L’evoluzione della coscienza non si conclama nell’animismo, nell’idealismo, nello spiritualismo (che sotto quest’ottica non può che prevalere rispetto al materialismo storicistico o alla grammatica universale) del “io sono perché penso”, soggetto quindi alle rappresentazioni di se, degli altri, del mondo, e quindi soggetto alla nevrosi, né ipotizzando un inconscio, come un Mister Hyde istintivo ed animalesco che riesce comunque ad essere talvolta artista ed enigmista esprimendosi con metafore, metonimie, sineddoche ecc.
L’evoluzione della coscienza si sublima specificando il termine inconscio come il non della coscienza.
Il viaggio intellettuale ed i suoi dispositivi di Parola Originaria trovano il preambolo nella conversazione analitica.
Come intendere dunque il pagamento della seduta come assolutamente necessario rispetto all’ipotesi di rendere assistenzialista e quindi gratuita l’analisi?
Dalla disamina di Goux abbiamo inteso come il denaro ed il concetto divenuti equivalenti generali metafisici apportino un “sapere già” che sfocia in elitari circoli intellettualistici, forti ed arroccati in mausolei universitari, in grado di accogliere solamente masturbatorie speculazioni filosofiche, apportino un linguaggio comune vuoto, noioso e banale, sostenuto e legittimato da un discorso mediatico, giornalistico, sindacale, solo attento a far polemica, notizia, pettegolezzo, spettacolo, audience.
La società popolare è ormai assistita in tutto, scarica da internet libri e film che possono finire in polverose collezioni o essere fruiti per divertimento e per passare il tempo, sotto l’egida di un godimento più o meno esplicito per il fatto di aver fottuto la madre. La tensione, la ricerca, la pulsione intellettuale ed imprenditoriale sono completamente scomparsi.
Non si paga l’analista perché è il professionista, il coscienzioso e sapiente scienziato che sa come curare la nevrosi. Il generoso e nobile gesto d’ascolto da lui proposto fornisce un sapere, una traccia di verità che non gli appartiene. Non potrebbe quindi esigere denaro per un sapere inconscio che trova l’accezione freudiana di non essere né singolare, né collettivo, ma di essere a disposizione di ciascuno.
Quando Freud indicava il procedere dell’analisi come scientifico, era per indicare un procedere in cui il sapere era inconscio, fantastico, dello scienziato le cui ipotesi non erano per dimostrare alcun che, ma erano azzardi, sogni, astrazioni che venivano scrivendosi.
Come Lacan diceva per gli scritti che gli analizzanti portano o mandano all’analista, così per il denaro l’analista è come una banca, come un custode, garante che la scommessa sia sul futuro, sull’avvenire. Quel denaro non è per acquistare oggetti o competenze condivisibilmente valorizzabili, né per acquisire capacità di comunicazione diretta con il simile, ma è per instaurare la telecomunicazione: scommetto su quello che dico, come lo dico, mi sintonizzo su quello che verrà, la deduzione e l’induzione non possono eludere l’astrazione.
Si scommette per abitare tra le nuvole, tra la terra ed il cielo, nell’apertura, nell’infinito in atto, spogliandosi del denaro come equivalente generale non per sostituzione e sottrazione ma per integrazione.
Le cose si scrivono all’insaputa del soggetto, capitano a sproposito e quindi sono puntuali.
Si paga per essere sulla via delle fede, della provvidenza, del miracolo.
Come nei Vangeli occorre affidarsi al racconto e alla parabola, mettendo in paragone e in parallelo, introducendo un come senza cambiare e scambiare nulla, senza affidarsi alla logica del dare per avere. La simbolizzazione non approda al simbolo, quindi ad un altro equivalente generale, ma alla sintassi e alla mitica storia, alla processione dei significanti.
La rimozione è virtù della Parola senza soggetto, non si può decidere di rimuovere e cambiare.
Per andare oltre la nevrosi di soggetti che s’intendono su idealistici equivalenti generali come i concetti, i termini, il denaro, non serve ricercare il contatto con le cose materiali, sostanziali (controllando gli oggetti che si hanno in tasca o portando indumenti aderenti o cercando abbracci affettivi con i simili) invertendo il presunto originario tra i dicotomici materia-spirito.
Occorre l’Originarietà della Parola, che necessità continuamente di rilevare il suo fondamento immateriale come “non della materia”, “non dello spirito”, che si fonda ciascuna volta sulla relazione con il punto vuoto del sembiante, irrelato a tal punto da far infrangere ogni logica che non sia dell’Altro, che non sia inconscia e quindi umile, compresa la modesta logica del relativismo, pur sempre soggettuale.

 

Febbraio 2009

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