15 Maggio 2016 – SALONE DEL LIBRO OFF – Convegno “Pscicanalisi, scrittura, pubblicazione”.
La psicanalisi, la scrittura, la pubblicazione…ma la questione è quella della scrittura.
L’escrittura, l’escultura, l’espressione…qualcosa affiora, qualcosa si pone in evidenza.
Occorre che l’inedito possa farsi breccia, occorre che le cose si scrivano, occorre essere parlati, occorre che un corpo danzi.
E le cose non potrebbero scriversi senza profezia, senza l’anticipo e la simultaneità.
La profezia non è la previsione, non è il sogno da indagare o la cartomante da consultare per sapere come andranno le cose.
Freud formidabile “La dove l’Es era Io devo avvenire”. Ma quell’imperfetto è il tempo della favola, non riguarda il passato che è stato.
Le cose si ripetono senza essere mai state.
Come dire di questa questione abissale, della questione della Parola Originaria “In principio era il verbo, in principio era l’azione”?
Impossibile con sillogismi razionali, con intenti divulgativi.
Si potrebbe allora dire “Come coglierla, come intenderla?”.
E’ paradossale, perché le cose si colgono se si scrivono, in atto, nel racconto.
E’ questione di libertà. Non del soggetto libero di fare e decidere ciò che vuole.
La libertà è nel fare, nello scrivere, procedendo nell’occorrenza. Nessuna provvidenza senza occorrenza.
I narratori, quelli che non sanno, i “gnarratori”, gli ignoranti, colgono o fanno in modo che nelle loro opere si possa cogliere la questione.
Borges: “Io scrivo per dimenticare…come fare a ricordare cosa ci si è trovati a scrivere, al limite ricordo cosa ho letto”
Straordinario Marquez in Cent’anni di solitudine, con il vecchio Melquíades che scrive continuamente ed è sempre in anticipo rispetto alle favolistiche vicende della famiglia Buendia.
Anche Svevo, nella postfazione de La Coscienza di Zeno, testimonia che lui è divenuto ciò che ha scritto nei suoi romanzi.
Flaiano disse che ad un certo punto aveva cominciato a non condividere più quello che scriveva.
La psicanalisi, la scrittura, la pubblicazione.
Molto fuorviante l’accezione attuale della parola analisi, ancor più psicoanalisi.
Va presa nell’etimo e quindi in qualcosa che è senza soluzione, senza risposta.
Molto meglio quindi “conversazione”, ovvero la questione è quella del verso, della poesia, della scrittura. Non qualcosa di intersoggettivo, dialogico, comunicativo, socialmente compagnero, trasmissibile, consigliabile, dettabile.
Quanto è difficile conversare, subissati da chiacchiere, cronache, manualistici trattati, raccolte classificatorie, pettegolezzi.
La scrittura ancor più a togliere qualsiasi affettuosa trasmissione empatica, duale, a riportare il silenzio ad elemento Originario, perché l’eco della voce possa scriversi. Come il vento che si scrive sulla superficie del mare tramite le onde, o nel sabbioso deserto tramite le dune.
La pubblicazione, ovvero non c’è segreto, non c’è proprietà né padronanza su ciò che si scrive, non c’è privazione né sacrificio, all’infinito non è possibile sottrarre nulla, indi per cui l’apertura e la generosità perché il testo possa continuare a scriversi a ciascuno che lo proseguirà.
Le cose non possono finire ma si compiono quando attengono all’apertura, si rivolgono all’avvenire, a ciascuno che verrà, non all’insieme psicosociale democratico multiculturale interdisciplinare degli ognuno.
La pubblicazione perché la solitudine della scrittura consenta l’ascolto e non rischi di ritirarsi in circonvoluzioni solitarie, non più intersoggettive ma tra sé e sé.